Sicurezza e efficacia dei derivati della cannabis nelle patologie neurologiche.

Negli ultimi 20 anni si è registrato un crescente interesse verso i potenziali effetti terapeutici dei derivati della cannabis per alcune patologie neurologiche come epilessia, sclerosi multipla e dolore. Le evidenze attuali, ancora limitate, sono riassunte in questo articolo pubblicato sulla rivista Lancet Neurology.

 

La cannabis, o canapa, è stata utilizzata nella medicina popolare come rimedio naturale per diversi  sintomi e patologie. L’introduzione di normative nazionali che stanno progressivamente portando alla legalizzazione dell’uso ricreativo e medico di questi composti, associato all’identificazione di alcuni target farmacologici specifici, ha fatto nascere negli ultimi anni un interesse rilevante verso le possibili proprietà terapeutiche dei derivati di questa pianta. Tuttavia è importante sottolineare che non sono ancora noti molti dei meccanismi d’azione alla base dei composti estratti dalla cannabis, così come non sono ancora chiari gli effetti a lungo termine di una esposizione a questi composti e le possibili conseguenze sulla salute. La ricerca clinica in questo specifico contesto è resa ancora più difficile dalla presenza di un’eccessiva variabilità relativa alla composizione farmaceutica dei derivati della cannabis che non permette una adeguata replicabilità degli studi e la conseguente difficoltà nella valutazione dell’efficacia e sicurezza di questa composti.

Oltre 110 molecole potenzialmente attive sono stati isolate dalla pianta della cannabis e vengono identificate con il nome di fitocannabinoidi o cannabinoidi. Tra queste, la maggior parte degli studi preclinici e clinici si sono focalizzati sul cannabidiolo, singolarmente o in associazione con tetraidrocannabidiolo (THC). Dal punto di vista farmacologico, questi composti sono inibitori allosterici negativi dei recettori presinaptici CB1 e CB2. Cannabidiolo e THC interagiscono quindi con il sistema endocannabioide endogeno, modulando la sua funzione e l’eccitabilità neuronale con meccanismi complessi e attualmente non completamente chiariti. Non è ancora chiaro inoltre se parte degli effetti che verranno descritti in questo articolo possano essere riconducibili all’azione su altri sistemi recettoriali come canali non selettivi per i cationi o altri recettori presinaptici associati a proteine G.

Cannabidiolo nel trattamento dell’epilessia

Il cannabidiolo, somministrato come soluzione orale purificata, è stato recentemente testato in un trial randomizzato controllato (RCT) su 120 pazienti  (2-18 anni di età) affetti da una forma di epilessia rara e severa, chiamata Sindrome di Dravet. L’efficacia del cannabidiolo è stata valutata come terapia di associazione ai comuni trattamenti antiepilettici e al dosaggio di 20 mg/die. Dai risultati dello studio si evince che il trattamento ha prodotto una riduzione di circa il 50% delle crisi convulsive mensili rispetto al gruppo di controllo trattato con placebo (da 12.4 crisi/mese a 5.9 crisi/mese). I possibili effetti terapeutici del cannabidiolo sono stati inoltre valutati nella Sindrome di Lennox-Gastaut in due trial che hanno arruolato 225 e 170 pazienti rispettivamente (2-55 anni di età). In entrambi gli studi l’aggiunta di cannabidiolo alla terapia antiepilettica, al dosaggio di 20 mg/die, ha determinato una riduzione di circa il 40% delle crisi toniche, atoniche e tonico-cloniche, determinando in alcuni soggetti la completa remissione delle crisi nelle 12 settimane di mantenimento della terapia. L’esito di questi studi ha portato, nel 2018, all’approvazione da parte dell’agenzia americana Food and Drug Administration (FDA) del cannabidiolo per il trattamento delle crisi epilettiche nei pazienti con Sindrome di Dravet e Sindrome di Lennox-Gastaut. In aggiunta ai trial descritti, il cannabidiolo è attualmente in corso di valutazione in un RCT per il trattamento delle crisi epilettiche associate a sclerosi tuberosa e per il trattamento dell’epilessia focale resistente ai trattamenti farmacologici.

Sebbene il cannabidiolo si sia dimostrato efficace per il controllo delle crisi in alcune forme di epilessia, ci sono alcuni aspetti critici da sottolineare e che dovranno essere valutati nei prossimi studi. In primo luogo, il cannabidiolo è un potente inibitore degli enzimi epatici CYP2C19, 2D6 e 2C9, citocromi largamente coinvolti nella detossificazione dei farmaci. Questa caratteristica può determinare quindi la comparsa di interazioni farmacologiche e portare a modificazione del metabolismo degli altri farmaci antiepilettici. Questo aspetto è particolarmente importante per i soggetti affetti da forme resistenti di epilessia, come la sindrome di Dravet e la Sindrome di Lennox-Gastaut, che assumono politerapie complesse e che quindi sono soggetti alle possibili conseguenze di un modificazione dell’effetto di queste farmaci. Un esempio è offerto dal clobazam, farmaco frequentemente assunto come terapia antiepilettica nell’infanzia e nell’adulto. Il suo metabolismo è infatti ridotto durante l’assunzione di cannabidiolo e diverse evidenze indicano che il co-trattamento porti a un aumento significativo delle concentrazioni ematiche e dell’emivita del clobazam e la conseguente comparsa di effetti collaterali, quali la sedazione. In secondo luogo, è utile riportare che gli effetti a lungo termine del trattamento con cannabidiolo in queste sindromi non è noto ed è in corso di valutazione in uno studio open-label di estensione.

Cannabinoidi nel trattamento della Sclerosi Multipla

Il Nabiximols (commercializzato in Italia con il nome di Sativex) è uno soluzione spray costituita da cannabidiolo e THC che è stata ampiamente testata per il trattamento di alcuni sintomi della Sclerosi Multipla.  Il primo trial clinico che ha valutato l’efficacia del Nabiximols è stato condotto, con un disegno sperimentale randomizzato e controllato con placebo, su 160 pazienti affetti da sclerosi multipla. Lo studio ha descritto un miglioramento significativo della spasticità nei pazienti trattati rispetto al gruppo placebo e il suo effetto a lungo termine è stato confermato in uno studio di estensione di follow-up di oltre 1 anno. Tuttavia, in un RCT condotto successivamente su 337 pazienti, l’efficacia contro la spasticità non è stata confermata. La presenza di dati contrastanti ha quindi promosso, sotto l’incentivo dell’American Accademy of Neurology, la realizzazione di altri due studi clinici. In questi trial, la risposta al Nabiximols è stata valutata in una prima fase con disegno a singolo cieco della durata di 4 settimane (fase A).  Successivamente i pazienti sono stati assegnati random a uno dei due bracci di trattamento con il farmaco o il placebo (fase B). Circa la metà dei pazienti arruolati in fase A (nello specifico il 42% per il primo trial, e il 55% nel secondo) ha preso parte alla seconda fase. In entrambi gli studi, Nabiximols  ha prodotto una riduzione significativa della spasticità di oltre il 30% rispetto al gruppo di controllo.

Nabiximols è stato inoltre testato per il trattamento del dolore associato a sclerosi multipla in un trial clinico, con un disegno a due fasi simile a quello utilizzato negli studi descritti in precedenza. Sono stati arrualati 339 pazienti in fase A e 58 in fase B. Dai risultati dello studio tuttavia non è stato possibile identificare alcuna efficacia nei confronti del sintomo dolore rispetto al gruppo con placebo.

I risultati contrastanti degli studi su spasticità e dolore suggeriscono che probabilmente solo un sotto gruppo di pazienti è responsivo al cannabidiolo in questo contesto patologico. E’ inoltre necessario sottolineare che gli studi a supporto dell’efficacia nei confronti della spasticità potrebbero essere  alterati per la presenza di bias legati alla perdita della cecità dello studio dovuta alla presenza di una fase A a singolo cieco. Sulle base di queste evidenze, sembra ragionale destinare la terapia con Nabiximols ai soli pazienti che non rispondono o non tollerano le terapie di prima linea.

Cannabidiolo per il trattamento di altre malattie neurologiche

Oltre che nell’epilessia e nella sclerosi multipla, i cannabinoidi sono stati testati per il trattamento sintomatico del dolore neuropatico. Facendo riferimento ad una revisione Cochrane della letteratura,  sono 16 gli RCT condotti fino al 2018 che hanno valutato l’efficacia del cannabidiolo, da solo o in associazione con il THC, in questo contesto patologico. Dai risultati della review si evince che 1750 soggetti sono stati complessivamente arruolati in questi studi clinici e che si è registrata un moderato miglioramento del dolore associato a una maggiore incidenza di effetti avversi in seguito a sospensione della terapia. La qualità delle evidenze è considerata bassa a causa della presenza di bias di pubblicazione e per le dimensioni ridotte del campione in studio. Non esistono quindi, secondo gli autori, sufficienti dati per sostenere la raccomandazione all’utilizzo dei derivati della cannabis per il dolore di tipo neuropatico.

Son inoltre ancora limitate le evidenze che potrebbero suggerire un efficacia terapeutica di questi composti per la Corea di Hungtington, per la demenza e per il trattamento del disturbo da iperattività e deficit dell’attenzione (ADHD).

Aspetti clinici e problematiche inerenti la sicurezza e sensibilità dei derivati dalle cannabis

Sia il cannabidiolo che il THC sono molecole ad alta liposolubilità e soggette ad elevato metabolismo di primo passaggio. A causa di queste proprietà, i cannabinoidi presentano una bassa e variabile biodisponibilità orale che può essere responsabile della ridotta e incostante efficacia di queste molecole nei contesti patologici descritti.

Tra gli effetti avversi che si riscontrano con più frequenza sono da annoverare: nausea, debolezza, alterazioni dell’umore, capogiro, astenia e rischio di intossicazioni. Negli studi clinici condotti sui pazienti affetti da epilessia, l’uso di cannabinoidi si è dimostrato sufficientemente sicuro e tollerabile nei trattamenti a breve termine. Tra gli aventi avversi gravi, gli autori riportano: esacerbazioni delle crisi epilettiche, stato epilettico, trombocitopenia, alterazioni sierologiche degli enzimi epatici e diarrea severa. L’incremento delle transaminasi è un evento relativamente frequente e descritto da almeno tre trial clinici. Infatti circa il 13% dei soggetti trattati con derivati della cannabis mostrerebbe un incremento delle transaminasi epatiche di almeno tre volte il limite della norma. Si è ipotizzato che la sofferenza epatica descritta in questa pazienti potrebbe essere conseguente ad un potenziamento da parte dei cannabinoidi del danno epatico indotto da acido valproico.

Sebbene siano ancora limitate le evidenze sulla sicurezza dei trattamenti cronici con derivati della cannabis, in uno studio con un campione di 20 pazienti con sclerosi multipla, l’uso a lungo a termine della cannabis si è accompagnato a riduzione delle performances cognitive ed a diminuzione dei volumi corticali, subcorticali evidenziati all’indagine con Risonanza Magnetica.

In conclusione le evidenze attuali indicano che cannabinoidi potrebbero essere sicuri ed efficaci per il trattamento di alcune sindromi epilettiche e di alcuni sintomi della sclerosi multipla. I dati a supporto dei cannabinoidi per il trattamento di altre patologie neurologiche sono deboli e ancora sotto investigazione.

Friedman D, French JA, Maccarrone M. Safety, efficacy, and mechanisms of action of cannabinoids in neurological disorders. Lancet Neurol. 2019 May;18(5):504-512.

https://www.thelancet.com/journals/laneur/article/PIIS1474-4422(19)30032-8/fulltext

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