Gli anticorpi monoclonali mostrano una buona efficacia nel trattamento della fase infiammatoria della Sclerosi Multipla, tuttavia le perturbazioni indotte sul sistema immunitario sono associate ad importanti eventi avversi.
La Sclerosi Multipla (SM) è una malattia infiammatoria cronica demielinizzante del SNC, tra le cause principali di disabilità acquisita nella popolazione giovanile.
L’eziologia di questa malattia rimane tutt’ora ignota, tuttavia ne conosciamo il decorso clinico, che segue una serie di pattern caratteristici, manifestandosi con disfunzioni neurologiche transitorie che nelle prime fasi della malattia tendono a guarire completamente (SM recidivante-remittente), per poi lasciare reliquati nelle fasi più tardive (SM secondariamente progressiva) o nelle forme più gravi (SM primariamente progressiva). Completano il quadro le forme clinicamente isolata e radiologicamente isolata.
Gli agenti biologici
Con l’avvento degli agenti biologici quali proteine ricombinanti e anticorpi monoclonali siamo entrati in una nuova era nel trattamento della SM, considerata precedentemente una malattia refrattaria alle terapie immunologiche. Ad oggi sono stati approvati da EMA 5 farmaci biologici, che presentano svariati meccanismi bersaglio, tra cui la deplezione linfocitaria (alemtuzumab, ocrelizumab), l’immunomodulazione (interferone beta, daclizumab – quest’ultimo ritirato dal commercio per questioni di sicurezza), l’inibizione della mobilità delle popolazioni linfocitarie (natalizumab).
L’efficacia nel breve periodo di alcuni di questi farmaci è talvolta davvero impressionante, inoltre si stanno accumulando prove sulla capacità di modificare gli esiti anche a lungo termine. C’è persino un agente biologico non facente parte della terapia per la SM che viene usato in maniera off-label: rituximab, che induce una deplezione dei linfociti B, si dimostra efficace sia nei trial clinici che nell’utilizzo reale.
Le complicanze immunologiche
L’efficacia terapeutica ha un prezzo: tutte le suddette terapie biologiche presentano eventi avversi gravi, principalmente associate al fatto che queste molecole interagiscono col sistema immunitario.
In primis, questi farmaci sono immunogenici: il corpo tende cioè a produrre anticorpi nei loro confronti. Tipicamente questi anticorpi riducono la biodisponibilità dei farmaci, ma in alcuni casi possono essere a loro volta direttamente dannosi, potendo innescare l’insorgenza di:
- Immunodeficienza, come ad esempio la Laucoencefalopatia Multifocale Progressiva associata a natalizumab o la ipogammaglobulinemia dovuta a rituximab. Possono quindi verificarsi:
- Infezioni opportunistiche quali meningite da Listeria monocytogenes, polmonite da Pneumocystis o Citomegalovirus, infezioni da Herpes virus;
- Tumori: melanoma, displasia della cervice, adenocarcinoma tiroideo;
- Autoimmunità, es. tiroidite autoimmune e porpora idiopatica trombocitopenica associata a alemtuzumab;
- Sindrome da rilascio di citochine, che si può accompagnare a deterioramento neurologico acuto.
Come accennato precedentemente, daclizumab è stato rimosso dal mercato in seguito a gravi e imprevedibili conseguenze a livello immunologico, il che fa da monito anche nei confronti delle altre terapie di questa categoria.
Una considerevole limitazione dei dati sulla sicurezza a nostra disposizione riguarda le conseguenze a lungo termine delle terapie biologiche.
La SM è una malattia cronica che richiede terapie farmacologiche di lungo corso; per contro, i farmaci biologici sono in uso da relativamente pochi anni. Siamo quindi in una fase piuttosto nebulosa per quel che riguarda l’effettiva capacità di queste terapie di modificare la progressione della malattia: se da un lato possiamo verificare come certi farmaci riducano sostanzialmente le placche, patognomoniche della malattia, a livello del SNC, dall’altro non sappiamo se ciò implica un miglioramento degli outcome a lungo termine. Oltretutto, se anche fosse, rimarrebbe da valutare fino a che punto gli eventi avversi abbiano impatto sul rapporto rischio/beneficio.
Infine, esistono notevoli problematiche comuni a tutti i farmaci biologici, in relazione alle metodologie con cui vengono fabbricati e alla tracciabilità delle alterazioni (per design come anche variabilità naturale) cui vanno incontro, alle criticità che riguardano i farmaci biosimilari, nonché la sostanziale assenza (ad oggi) nell’ambito della SM di registri osservazionali che catturino le informazioni cliniche sull’uso di questi farmaci nella reale pratica clinica, in modo da facilitare una visione d’insieme.
In conclusione, i farmaci biologici offrono una prospettiva senza precedenti nel trattamento della Sclerosi Multipla, ma portano con sé tutta una serie di rischi legati alla loro interazione con il sistema immunitario del paziente. Non è chiaro se gli attuali sistemi di farmacovigilanza siano configurati in maniera ottimale per cogliere la complessità dei profili di sicurezza di queste terapie.