Terapia ormonale sostitutiva per la menopausa e rischio di carcinoma mammario – elementi per una scelta consapevole

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Alla luce di osservazioni sempre più dettagliate riguardo all’associazione tra terapia ormonale sostitutiva per i sintomi della menopausa e il rischio di sviluppare carcinoma mammario, scegliere se trattare o meno diviene un processo meno aleatorio.

 

 

Per alcune donne la menopausa è una fase di transizione tutto sommato serena; per altre significa notti insonni, vampate di calore, e/o una riduzione dello stato di benessere generale.
Per molti anni si sono prescritti farmaci che andassero a controbilanciare la riduzione dei livelli circolanti di estrogeni persi con la funzione ovarica, in modo da mitigare i sintomi menopausali.

Nei primi anni 2000 furono poi pubblicati i risultati di due importanti studi longitudinali che mostravano un aumento dell’incidenza di carcinoma mammario nelle donne in terapia ormonale sostitutiva, a cui peraltro ha fatto seguito una relativa riduzione negli anni successivi, nel momento in cui la terapia ha perso di popolarità.

Altri studi che si sono susseguiti nel tempo hanno caratterizzato questo rischio facendo emergere alcuni dettagli interessanti:

  • Iniziare la terapia sostitutiva subito dopo l’insorgere della menopausa porta ad un aumento significativo del rischio di sviluppare carcinoma mammario invasivo, in special modo con terapie combinate estrogeni-progestinici più che con terapie esclusivamente a base di estrogeni.
  • Con l’aumentare dell’esposizione alla terapia ormonale sostitutiva, negli anni, aumenta proporzionalmente il rischio di carcinoma mammario.
  • Il rischio nelle donne che hanno fatto uso di estro-progestinici nel loro passato è più basso rispetto alle utilizzatrici attuali, ma rimane comunque più alto, per almeno 10 anni, rispetto a chi non ne ha fatto mai uso.
  • In termini numerici l’incidenza è del 6.3% nelle donne che non hanno mai utilizzato estro-progestinici contro l’8.3% in coloro che ne hanno fatto uso per 5 anni. In termini assoluti significa un aumento del rischio del 2%, che si traduce in 1 caso di cancro in più per ogni 50 donne trattate.
  • Caratteristicamente, nelle donne obese l’effetto deleterio della terapia non è rilevante, probabilmente in relazione al fatto che il tessuto adiposo è di per sé un noto produttore di estrogeni; in pratica sia l’obesità che la terapia ormonale sostitutiva sono fattori di rischio per carcinoma mammario, ma i loro effetti non sono additivi.

Detto questo, i medici devono senz’altro tenere in considerazione le statistiche, senza però abbandonare un approccio decisionale che sia razionale e omnicomprensivo quando si tratta della gestione delle sintomatologia peri-menopausale, attraverso un attento esame dei rischi e dei benefici per la paziente. Perciò la gravità dei sintomi, le controindicazioni alla terapia ormonale sostitutiva (es. pregresso carcinoma mammario, malattie cardiovascolari, ictus), l’indice di massa corporea (BMI), nonché le preferenze della diretta interessata devono tutte rientrare nel processo decisionale.

Nel caso di candidate ideali, si dovrebbe utilizzare la terapia a base di solo estrogeni, iniziandola nel momento della menopausa naturale, e protraendola per non più di 5 anni.

 

Joanne Kotsopoulos “Menopausal hormones: definitive evidence for breast cancer”
The Lancet, agosto 2019. https://doi.org/10.1016/S0140-6736(19)31901-4

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