Uso prolungato di inibitori della pompa protonica e rischio di diabete di tipo 2

Un recente studio caso-controllo condotto su una popolazione di soggetti in terapia con inibitori di pompa protonica fa luce sulla presunta associazione tra l’uso prolungato di questi farmaci e lo sviluppo di diabete e aggiunge importanti premesse per lo sviluppo di ricerche future.

Gli inibitori della pompa protonica (PPI) sono farmaci che portano alla soppressione a lungo termine della secrezione acida sia basale che stimolata dai pasti mediante l’inibizione irreversibile della pompa H+/K+ ATPasi (o pompa protonica) sulle cellule parietali gastriche, e rappresentano la terapia di prima scelta nei pazienti con disturbi legati all’acido come malattia da reflusso gastroesofageo, esofago di Barrett e ulcere peptiche e per prevenire il sanguinamento gastrointestinale durante l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei.

Negli ultimi 3 decenni, a causa della loro efficacia, dell’introduzione di composti generici e del loro uso come farmaci da banco in diversi stati, il mercato di questi farmaci è progressivamente aumentato collocandoli tra i primi 10 farmaci più comunemente usati in tutto il mondo; parallelamente, l’espansione del mercato dei PPI ha visto crescenti preoccupazioni riguardo all’uso improprio di questi farmaci nella pratica clinica, nonché ai possibili effetti collaterali e, in particolare, alle reazioni avverse al loro uso prolungato tra cui fratture, ipomagnesemia, carcinoidi gastrici, malattie renali croniche, demenza e diarrea da Clostridium difficile, come evidenziato da diversi studi

È importante sottolineare che i cambiamenti nel microbioma intestinale sono stati ipotizzati per svolgere un ruolo nella fisiopatologia delle malattie metaboliche, tra cui obesità, insulino-resistenza, steatosi epatica non alcolica e diabete; recentemente, infatti, è stato evidenziato che gli IPP possono alterare il normale ambiente batterico a livello dell’esofago distale, dello stomaco, dell’intestino tenue e del colon. Altri potenziali meccanismi sono da imputare all’ipomagnesiemia indotta da PPI (che porta a infammazione di basso grado e resistenza all’insulina), la riduzione dell’IGF-1 e l’attivazione del recettore X del pregnano, che è coinvolta nella regolazione del metabolismo epatico del glucosio.

Ciononostante, i dati clinici sull’associazione tra uso di PPI e diabete sono limitati e incoerenti per trarre conclusioni definitive; pertanto, è ancora dibattuto se l’uso prolungato di inibitori della pompa protonica (PPI) possa influire sulla salute metabolica.

A questo scopo, un gruppo di ricercatori italiani si è occupato di condurre uno studio caso-controllo all’interno di una coorte di 777.420 pazienti recentemente trattati con PPI tra il 2010 e il 2015 in Lombardia, con l’obiettivo di studiare la relazione tra l’uso prolungato di PPI e il rischio di sviluppare il diabete

Un totale di 50.535 persone con diagnosi di diabete fino al 2020 sono state abbinate a un numero uguale di controlli selezionati casualmente dai membri della coorte in base all’età, al sesso e allo stato clinico. L’esposizione al trattamento con PPI è stata valutata in coppie caso-controllo in base al tempo di terapia

I risultati ottenuti hanno evidenziato che l’uso prolungato di PPI è associato ad un aumento del rischio di diabete dopo aggiustamento per diversi potenziali fattori di confondimento. Il rischio era progressivamente più alto con il tempo trascorso in terapia più lungo, risultando il 19%, 43% e 56% più alto nei pazienti che assumevano PPI rispettivamente da 8 settimane a 6 mesi, da 6 mesi a 2 anni e per > 2 anni, rispetto ad una durata del trattamento < 8 settimane. I risultati sono stati coerenti quando le analisi sono state stratificate in base all’età, al sesso e al profilo clinico, con gli OR più elevati tra i pazienti più giovani e quelli con complessità clinica peggiore.

Sebbene siano ancora necessari studi futuri per convalidare i nostri risultati, il presente studio suggerisce che il trattamento prolungato con IPP è associato a un rischio più elevato di sviluppare il diabete, in particolare negli individui più giovani e nei pazienti con maggiore complessità clinica rispetto ad altre popolazioni di pazienti. Se confermati, questi risultati potrebbero avere importanti implicazioni sia per la salute pubblica che per la pratica clinica, dato l’elevato numero di pazienti trattati con IPP e l’influenza del diabete sulla morbilità e mortalità correlata alle sue possibili complicanze micro e macrovascolari. I medici dovrebbero quindi evitare la prescrizione non necessaria di questa classe di farmaci, in particolare per l’uso a lungo termine.

Bibliografia

Ciardullo S. et al, Prolonged use of proton pump inhibitors and risk of type 2 diabetes: results from a large population-based nested case-control study. J Clin Endocrinol Metab. 2022 Apr

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