Monitoraggio terapeutico di bambini e adolescenti trattati con aripiprazolo

L’aripiprazolo, un antipsicotico di terza generazione che agisce come agonista parziale dei recettori dopaminergici D2 e 5-idrossitriptamina (5-HT) 1A, è approvato in Europa per il trattamento di pazienti con schizofrenia di età superiore ai 15 anni, così come per episodi maniacali negli adolescenti di età superiore ai 13 anni. Nella pratica clinica quotidiana, l’aripiprazolo è anche usato in pazienti con vari altri disturbi psichiatrici come disturbi da tic e sindrome di Tourette, disturbi dello spettro autistico e disturbi dirompenti con spiccato fenotipo comportamentale impulsivo.

Sebbene l’aripiprazolo sia uno degli antipsicotici più utilizzati, la conoscenza delle concentrazioni sieriche nei bambini e negli adolescenti è scarsa e non sono stati ancora stabiliti intervalli terapeutici specifici per età. A causa di queste incertezze, il monitoraggio terapeutico dei farmaci (TDM) è fortemente consigliato per il trattamento di bambini e adolescenti con farmaci psicotropi come l’aripiprazolo

A tal fine sono stati analizzati i dati di un servizio di monitoraggio di farmaci terapeutici di routine per valutare la relazione tra dose e concentrazione sierica di aripiprazolo in bambini e adolescenti, nonché le caratteristiche dei pazienti che possono influenzarla. Lo studio mirava anche a valutare se l’intervallo terapeutico di riferimento definito per gli adulti con schizofrenia (100–350 ng / ml) fosse valido e applicabile per bambini e adolescenti. Tutti i pazienti che avevano una valutazione TDM durante il trattamento farmacologico con aripiprazolo sono stati inclusi indipendentemente dalla diagnosi o dall’impostazione del trattamento (pazienti ricoverati, ambulatoriali, in unità diurna). I pazienti sono stati esclusi dallo studio se le condizioni allo stato stazionario per il prelievo di sangue non erano soddisfatte, mancavano dati rilevanti (ad es. dosaggio di aripiprazolo, informazioni rilevanti sul paziente) o se sono stati rilevati o non è stato possibile escludere problemi di compliance. Sono stati valutati i dati di 130 pazienti (di età compresa tra 7 e 19 anni) trattati con aripiprazolo per indicazioni diverse a dosi di 2-30 mg / die. Le caratteristiche del paziente, le dosi, le concentrazioni sieriche e il risultato terapeutico sono stati valutati mediante misure standardizzate.

È stata trovata una correlazione media positiva tra la dose giornaliera corretta in base al peso corporeo e la concentrazione di aripiprazolo, con un’elevata variabilità interindividuale nei livelli sierici. Le analisi di regressione lineare hanno rivelato che i livelli sierici di aripiprazolo influenzati in modo significativo dal sesso, con concentrazioni sostanzialmente maggiori nelle ragazze rispetto ai ragazzi (244,9 contro 173,4 mg / l). Le concentrazioni sieriche del presente campione pediatrico sono state quindi confrontate con il livello di riferimento per gli adulti. Circa il 70% di tutte le concentrazioni sieriche misurate rientrava nell’intervallo terapeutico raccomandato per gli adulti. Infine, calcolando un intervallo di riferimento terapeutico preliminare di aripiprazolo per bambini e adolescenti, i nostri dati suggeriscono una concentrazione terapeutica simile a quella stabilita per i pazienti adulti con schizofrenia.

Le reazioni avverse erano molto comuni e sono state osservate in quasi un paziente su due (48,8%). Tuttavia, la maggior parte delle ADR (55,9%) è stata classificata come “lieve” e solo il 3,4% come “grave”.

Sedazione e sonnolenza sono state le reazioni avverse segnalate più frequentemente osservate nel 25,4% dei pazienti e costituivano il 40,7% di tutti i sintomi di ADR segnalati. Altre ADR come l’aumento di peso sono state documentate nel 17,3%, seguite da una sensazione interiore di tensione e agitazione nel 13,6% e sintomi extrapiramidali nel 7,7% dei pazienti affetti da ADR. L’ipersalivazione è stata segnalata nel 6,2%, problemi di adattamento nel 4,9%, disturbi gastrointestinali nel 2,5%, disturbi cardiovascolari e dermatologici nell’1,2% dei pazienti affetti. Nel gruppo di pazienti con ADR, il 55,9% delle ADR è stato classificato come “lieve”, il 40,7% come “moderato” e il 3,4% come “grave”.

In conclusione, considerando i parametri farmacocinetici individuali, il TDM fornisce uno strumento di farmacovigilanza efficace nella popolazione pediatrica. Se confermati in campioni più grandi e disegni di studio più controllati, questi dati possono contribuire alla definizione di un intervallo terapeutico delle concentrazioni di aripiprazolo nei bambini e negli adolescenti.

Bibliografia

  1. Karin Egberts, Su‑Yin Reuter‑Dang, Stefanie Fekete, Christine Kulpok, Claudia Mehler‑Wex, Christoph Wewetzer, Andreas Karwautz, Michaela Mitterer, Kristian Holtkamp, Isabel Boege
    Rainer Burger, Marcel Romanos, Manfred Gerlach, Regina Taurines, Therapeutic drug monitoring of children and adolescents treate with aripiprazole: observational results from routine patient care. Journal of Neural Transmission, 2020 Sep 30. doi: 10.1007/s00702-020-02253-4

Ototossicità come reazione avversa a farmaci: un’analisi del segnale basata sui dati italiani.

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Introduzione.

Il panorama dell’ototossicità indotta da farmaci si è ampliato negli ultimi decenni. In più, i dati di sorveglianza post-marketing sono necessari per ottenere un più ampio sguardo sulle reazioni avverse di ototossicità. Lo scopo di questo studio era di condurre un’analisi delle segnalazioni di reazione avverse a farmaco (ADR) provenienti dal sistema italiano di segnalazione spontanea descrivendo l’ototossicità farmaco-indotta.

Metodi.

Come misura di disproporzionalità è stato calcolato il reporting odds ratios (RORs) e il rispettivo intervallo di confidenza al 95% (CI) con una metodologia caso/non caso. I casi erano tutte le schede di segnalazione di sospette ADR che riguardavano l’ototossicità farmaco-indotta raccolte nella rete di sorveglianza spontanea italiana tra il 2001 e il 2017. I non-casi includevano tutte le altre ADR segnalate nello stesso periodo.

Risultati.

Su un totale di 325,980 segnalazioni, 652 includevano almeno un’ADR di ototossicità, confrontate con 325,328 non-casi. ROR statisticamente significativi sono stati trovati per farmaci dell’apparato cardiovascolare, urologici, teriparatide, amikacina, prulifloxacina, rifampicina, isoniazide, cisplatino, antagonisti ormonali, tacrolimus, pomalidomide, tramadolo, e antidepressivi.

ROR significativi in relazioni al tinnito sono stati osservati per doxazosina (ROR 5.55, 95% CI 2.06–14.93), bisoprololo (4.28, 1.59–11.53), nebivololo (8.06, 3.32–19.56), ramipril (3.96, 2.17–7.23), irbesartan (19.60, 9.19–41.80), betametasone (4.01, 1.28–12.52), moxifloxacina (4.56, 1.71–12.34), etambutolo (12.25, 3.89–38.57), efavirenz (16.82, 5.34–52.96), sofosbuvir/ledipasvir (5.95, 1.90–18.61), etoposide (7.09, 2.63–19.12), abatacept (6.51, 2.42–17.53), indometacina (6.30, 2.02–19.72), etoricoxib (5.00, 2.23–11.23), tapentadolo (4.37, 1.09–17.62), e combinazioni di timololo (23.29, 9.53–56.95).

In aggiunta, ROR significative per l’ipoacusia riguardavano claritromicina (3.95, 1.86–8.40), azitromicina (10.23, 5.03–20.79), vancomicina (6.72, 2.14–21.11), methotrexate (3.13, 1.00–9.81), pemetrexed (4.38, 1.40–13.76), vincristina (5.93, 1.88–18.70), vinorelbina (21.60, 8.83–52.82), paclitaxel (2.34, 1.03–5.30), rituximab (3.20, 1.19–8.63), interferon alfa-2b (17.44, 8.56–35.53), talidomide (16.92, 6.92–41.38), e deferasirox (41.06, 20.07–84.01).

Conclusioni.

 Questo studio è ampiamente concordante con i dati presenti in letteratura. Nonostante ciò, sono stati rinvenuti farmaci che non erano noti per essere ototossici, in particolare propafenone, antitubercolari, antagonisti ormonali, teriparatide, tramadolo e pomalidomide. Inoltre, l’ipoacusia in seguito all’uso di vinorelbine, methotrexate, e pemetrexed era inaspettata. Allo stesso modo il tinnito correlato con etoposide, nebivololo, betametasone, abatacept, sofosbuvir/ledipasvir, e tapentadolo, ma tali associazioni richiedono ulteriori analisi per definirne meglio il rischio a causa della scarsità dei dati.

Infine, i medici dovrebbero essere maggiormente consapevoli della significatività clinica dell’ototossicità e della necessità del loro contributo per la segnalazione spontanea.

Bibliografia.

Barbieri MA et al., Ototoxic Adverse Drug Reactions: A Disproportionality Analysis Using the Italian Spontaneous Reporting Database. Frontiers in Pharmacology, 10, 2019; 1161. E’ possibile leggere liberamente l’articolo qui.

Approccio diagnostico alle reazioni da ipersensibilità a mezzi di contrasto iodato: esperienza di un centro italiano.

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Le reazioni avverse ai mezzi di contrasto iodato sono un problema medico rilevante, sia per i numeri dei pazienti che le sperimentano, sia per la potenziale morbosità di tali gravi eventi. Inoltre, esse rappresentano un costo per i sistemi sanitari.

I pazienti con anamnesi positiva per reazioni allergiche sono correntemente sottoposti a una premedicazione con farmaci antistaminici e corticosteroidi, tuttavia le evidenze riguardo alla loro efficacia sono carenti. C’è poi la possibilità che il rischio venga sottostimato nei pazienti sottoposti a premedicazione.

Lo studio che viene qui presentato è basato sull’esperienza di un singolo centro allergologico italiano, a Firenze, il quale ha valutato in modo consecutivo 98 pazienti tra il 2015 e il 2018. I dati dei pazienti sono stati revisionati retrospettivamente. Essi sono stati sottoposti ad una valutazione allergologica complessiva che comprendeva test cutanei e test di provocazione con il farmaco (drug provocation tests – DPT), che riguardavano mezzi di contrasto iodato.

Nella popolazione considerata il test cutaneo è risultato essere positivo in 10 pazienti, di cui 7 hanno manifestato una reazione di ipersensibilità immediata (IHR) e 3 una reazione di ipersensibilità ritardata (DHR). La scelta del mezzo di contrasto iodato per il test di provocazione col farmaco è stata fatta sulla base dei risultatati del test cutaneo. Dopo aver avuto un risultato negativo al primo test DPT, 7 pazienti hanno accettato di essere sottoposti a un secondo DPT con un differente mezzo di contrasto: la reazione nella maggior parte dei casi risultava in un test di ipersensibilità ritardata. Tutti questi pazienti eccetto uno, hanno tollerato il DPT con un secondo differente mezzo di contrasto. Complessivamente il protocollo allergologico è stato completato da 94 pazienti (95.9%).

Il test DPT è stato assunto come gold standard. I test cutanei hanno mostrato un valore predittivo negativo molto alto (NPV) in paragone ai test di provocazione DPT, applicati in pazienti che avevano sperimentato una precedente reazione avversa immediata. Inoltre il valore predittivo negativo per i pazienti che avevano avuto in precedenza una reazione avversa ritardata era più basso. (NVP, 96.2% in IHR vs 58.8% in DHR , rispettivamente; p < 0.0001, test di Fisher).

Infine, 90 pazienti sono stati contattati telefonicamente per sapere se essi fossero stati esposti nuovamente a mezzi di contrasto per procedure radiologiche. 39 pazienti sono stati riesposti, senza alcuna premedicazione in 13 casi, 12 dei quali avevano tollerato il mezzo di contrasto iodato e uno ha avuto nuovamente una reazione nonostante un test DPT negativo per lo stesso mezzo di contrasto. Complessivamente, il valore predittivo negativo di questo protocollo era elevato (92.3%) per i pazienti che erano sottoposti a DPT e successivamente esposti allo stesso mezzo di contrasto in un constesto di vita reale.

E’ auspicabile una collaborazione tra tutti i sanitari implicati in tali procedure e in particolare un accurato check-up allergologico per assicurare al massimo la sicurezza di tali pazienti e prevenire reazioni avverse evitabili.

Bibliografia.

Meucci E, Radice A, Fassio F, Sibilio M, Iorno MLC, Testi S, Severino M, Macchia D. Diagnostic approach to hypersensitivity reactions to iodinated contrast media: a single-center experience on 98 patients. Eur Ann Allergy Clin Immunol. 2020 Sep;52(5):220-229. Leggi l’articolo completo qui.

Efficacia e sicurezza di glecaprevir / pibrentasvir per il trattamento di pazienti con infezione cronica da HCV: una meta-analisi.

Glecaprevir / pibrentasvir è un regime farmacologico antivirale pangenotipico ad azione diretta (DAA), recentemente approvato per il trattamento di adulti con infezione da genotipi 1–6 di HCV. Negli studi clinici multinazionali di fase II e III, il trattamento con glecaprevir / pibrentasvir ha prodotto tassi elevati di risposta virologica sostenuta al post-trattamento alla settimana 12 (SVR12) ed è stato ben tollerato e con un profilo di sicurezza favorevole in un’ampia gamma di pazienti con infezione cronica da HCV. È importante, tuttavia, valutare i trattamenti per il virus dell’epatite C (HCV) nel mondo reale, poiché le popolazioni di pazienti tendono ad essere più diversificate e potenzialmente meno aderenti al trattamento rispetto a quelle negli studi clinici.

Per molti regimi DAA, è già stata confermata un’efficacia simile in contesti reali a quella osservata negli studi clinici. Tuttavia, poiché glecaprevir / pibrentasvir è stato approvato per il trattamento di pazienti con HCV cronico nell’ultima parte del 2017, i dati pubblicati sul suo utilizzo nella pratica clinica sono attualmente limitati a un piccolo numero di coorti del mondo reale. Inoltre, attualmente mancano analisi di contesti distinti e un’analisi più ampia che combini contesti e paesi diversi.

Per risolvere questo problema, è stata intrapresa una revisione sistematica e una meta-analisi dei dati disponibili nel mondo reale che riportano l’efficacia e / o la sicurezza di glecaprevir / pibrentasvir per il trattamento di adulti con infezione cronica da HCV. I risultati di 18 studi condotti in real life identificati nelle pubblicazioni di riviste dal 1 ° gennaio 2017 al 25 febbraio 2019 e nelle presentazioni al congresso fino al 14 aprile 2019 sono stati raccolti e analizzati per indagare l’efficacia e la sicurezza di una combinazione antivirale ad azione diretta (glecaprevir / pibrentasvir) nella pratica clinica di routine.  Sono stati esclusi gli studi clinici, i casi clinici e gli studi che non hanno distinto i pazienti trattati con glecaprevir / pibrentasvir da altri pazienti, ed è stata condotta una meta-analisi random-effects degli outcomes per determinare i tassi di SVR12 utilizzando i dati d i≥ 2 coorti. 

Gli outcomes di efficacia erano il tasso complessivo di SVR12 nella popolazione ITT (cioè, tutti i pazienti trattati con almeno una dose di glecaprevir / pibrentasvir che avevano dati SVR12 disponibili, interrotti precocemente o persi al follow-up). Queste analisi sono state condotte anche nella popolazione ITT modificata (mITT) (cioè, la popolazione ITT esclusi i pazienti che non hanno raggiunto SVR12 per ragioni diverse dal fallimento virologico). Gli outcomes di sicurezza erano le percentuali di pazienti con eventi avversi (EA; qualsiasi grado), eventi avversi comuni, eventi avversi gravi (SAE), eventi avversi di particolare interesse (scompenso epatico o insufficienza epatica) e interruzione a causa di eventi avversi

Complessivamente, 12.531 adulti sono stati trattati con glecaprevir / pibrentasvir, per un totale di 18 coorti. Tra i pazienti con dati post-trattamento alla settimana 12, i tassi di SVR12 erano del 96,7% (95% CI 95,4-98,1) nella popolazione ITT (n = 8.583, 15 coorti) e del 98,1% (95% CI 97,1-99,2) nella popolazione mITT (n = 7.001, 14 coorti). I tassi di SVR12 erano> −95% nei sottogruppi (genotipo HCV, stato di cirrosi, storia del trattamento, durata del trattamento, trattamento su indicazione e sottogruppi di interesse). Gli eventi avversi sono stati riportati nel 17,7% (1.271 / 7.199) dei pazienti (8 coorti). Eventi avversi gravi sono stati riportati nell’1,0% (55 / 5.522) dei pazienti (6 coorti). Gli eventi avversi più frequenti sono stati prurito, affaticamento e mal di testa. Interruzioni del trattamento correlate a eventi avversi sono state riportate nello 0,6% (33 / 5.595) dei pazienti (6 coorti).

In conclusione, questa analisi ha mostrato che la combinazione glecaprevir / pibrentasvir è altamente efficace e ben tollerata in tutti i genotipi di HCV e nei gruppi di pazienti studiati, coerentemente con i risultati osservati negli studi clinici, anche nei pazienti storicamente considerati più difficili da trattare.

Bibliografia:

  1. Pietro Lampertico , Jose A Carrión , Michael Curry , Juan Turnes , Markus Cornberg , Francesco Negro, Ashley Brown, Marcello Persico, Nicole Wick, Ariel Porcalla, Andreas Pangerl, Eric Crown, Lois Larsen, Yao Yu, Heiner Wedemeyer , Real-world effectiveness and safety of glecaprevir/pibrentasvir for the treatment of patients with chronic HCV infection: A meta-analysis. J Hepatol. 2020 Jun;72(6):1112-1121. doi: 10.1016/j.jhep.2020.01.025

Interazioni farmaco-farmaco tra anticoagulanti orali diretti e agenti antivirali ad azione diretta dell’epatite C, una revisione sistematica.

Gli anticoagulanti orali diretti (DOAC), come substrati del citocromo P450 (CYP) 3A4 e / o della P-glicoproteina, sono suscettibili alle interazioni farmaco-farmaco (DDI). Gli agenti antivirali ad azione diretta (DAA) dell’epatite C (HCV), tramite l’inibizione della glicoproteina P o del CYP3A4, possono aumentare l’esposizione a DOAC con un rilevante rischio di sanguinamento.

In questo studio è stata eseguita una revisione sistematica sui DDI tra DOAC e DAA.

Due revisori hanno identificato in modo indipendente gli studi tramite database elettronici, fino al 7 luglio 2020, integrando la ricerca esaminando gli abstract del congresso EASL (Associazione europea per gli studi sul fegato) e il sito Web ClinicalTrials.gov.

Sono stati identificati 1385 riferimenti attraverso una ricerca sistematica nel database. Dopo aver applicato i criteri di inclusione, tre studi erano eleggibili per l’inclusione. Un ulteriore studio è stato identificato attraverso la ricerca manuale degli abstract del congresso EASL.

Tre studi clinici di fase I su volontari sani hanno valutato le interazioni tra dabigatran e glecaprevir/pibrentasvir, odalasvir/simeprevir o sofosbuvir/velpatasvir/voxilaprevir, mostrando un aumento dell’area sotto la curva concentrazione-tempo (AUC) di dabigatran del 138%, 103% e 161%, rispettivamente.

Nel complesso, la scarsità di dati richiede urgentemente studi dedicati nel mondo reale per verificare l’effettiva rilevanza clinica delle interazioni farmacocinetiche con dabigatran e indagare il rischio reale negli utilizzatori di farmaci anti-fattore Xa, sia in termini di rischio di sanguinamento che di insorgenza di danno al fegato. Infatti, sia rivaroxaban che apixaban sono substrati di P-gp e BCRP, mentre il substrato attivo di edoxaban è anche un substrato di OATP1B1, rendendo così altamente probabili interazioni farmacologiche clinicamente importanti.

I nuovi farmaci orali per l’epatite C sono esempi in cui l’interpretazione di una potenziale interazione può essere particolarmente complessa a causa di più farmaci con diversi profili farmacocinetici somministrati contemporaneamente.

Conclusioni

DOAC e DAA sono sotto-studiati per il rischio di DDI. Sono necessari studi sul mondo reale per valutare la rilevanza clinica delle interazioni farmacocinetiche con dabigatran e descrivere l’effettivo spettro di possibili interazioni farmacologiche tra DAA e altri DOAC.

Questa è la prima revisione sistematica che valuta le prove sulle interazioni tra anticoagulanti orali diretti / agenti antivirali ad azione diretta (DOAC / DAA).

I DAA aumentano la concentrazione di dabigatran, mentre non erano disponibili studi per altri DOAC.

Sono necessari studi nel mondo reale per valutare la rilevanza clinica di questa interazione e per descrivere l’effettivo spettro di possibili interazioni farmacologiche tra agenti ad azione antivirale diretta e altri anticoagulanti orali diretti.

Bellesini, M., Bianchin, M., Corradi, C. et al. Drug–Drug Interactions between Direct Oral Anticoagulants and Hepatitis C Direct-Acting Antiviral Agents: Looking for Evidence Through a Systematic Review
Clin Drug Investig (2020). https://doi.org/10.1007/s40261-020-00962-y

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La valutazione della sicurezza dei vaccini per il COVID-19: metodologia.

I vaccini contro il COVID-19 sono in fase di sviluppo ad una velocità mai vista in precedenza. Ciò pone particolari sfide, che non hanno precedenti, ai sistemi di monitoraggio post-marketing dalla sicurezza. Inoltre, anche la comunicazione sulla sicurezza vaccinale dovrà essere gestita in modo appropriato.

Per impiegare velocemente tali nuovi vaccini in popolazioni diverse è essenziale disporre di un robusto sistema di farmacovigilanza e un sistema di sorveglianza attiva. Non tutti i paesi del mondo hanno la capacità o le risorse per mettere in atto un’adeguata sorveglianza e riceveranno i dati da coloro che invece possiedono tali sistemi.

Gli strumenti per valutare i vaccini per il COVID-19 esistono già e verranno impiegati così come attualmente viene fatto: si tratta dei sistemi di sorveglianza nazionale, dei dati provenienti da fonti amministrative e la definizione dei casi come eventi avversi di speciale interesse.

Tuttavia, tenere insieme tutti questi strumenti e usarli in modo efficace è una sfida che richiede investimenti e collaborazione tra tutti gli attori in gioco. Il presente articolo fornisce una panoramica di alto livello di tutte le sfaccettature della moderna metodologia di valutazione della sicurezza dei vaccini e fornisce indicazioni sul modo con cui questi metodi sono o possono essere applicati ai vaccini nei confronti del COVID-19.

Lo sviluppo di un potenziale candidato vaccino deve essere in primo luogo valutato negli animali per quanto riguarda la sicurezza, l’immunogenicità e l’efficacia. Le problematiche di sicurezza identificate in precedenza nei primi vaccini per la SARS non sono state finora osservate negli studi sull’uomo ma sottolineano l’importanza di scegliere degli approcci vaccinali e degli adiuvanti che producano le risposte desiderate. Le tre fasi di sviluppo clinico nell’uomo sono attentamente condotte in modo tale che solamente con la dimostrazione di risultati favorevoli in una fase è possibile passare a quella successiva. Inoltre, le sperimentazioni cliniche sono sottoposte ad un comitato di esperti indipendente.

Dal punto di vista regolatorio esiste dal 1999 un Comitato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la sicurezza dei vaccini (World Health Organization Global Advisory Committee on Vaccine Safety) così come un gruppo di esperti (Strategic Advisory Group of Experts) che riceve i risultati portati dall’altro comitato e formula le raccomandazioni.

La Brighton Collaboration è una collaborazione internazionale lanciata nel 1999 che ha come compito quello di sviluppare le definizioni e le linee guida per i potenziali eventi avversi successivi ad immunizzazione. Tali strumenti includono anche la definizione degli eventi avversi di speciale interesse, che devono essere rapidamente comunicati alle parti regolatorie.

Un ruolo fondamentale di tutela dei consumatori è svolto dalle Agenzie Regolatorie, tra cui l’americana Food and Drug Administration e l’Agenzia Europea del Farmaco. Inoltre, un compito centrale è assegnato ai sistemi nazionali di sorveglianza passiva che riportano in ultima istanza al WHO Pharmacovigilance Centre in Uppsala, Svezia. Esistono poi dei programmi di sorveglianza attiva e studi di fase IV che sono in grado di monitorare in tempo quasi reale la popolazione di interesse oltre che mappare l’esposizione ai vaccini.

Esistono numerose sfide in tal senso, per esempio il fatto che ad oggi ancora troppo pochi paesi del mondo possiedono dei sistemi di farmacovigilanza altamente funzionanti. Infine è necessario un forte supporto e una stretta collaborazione tra tutti gli attori implicati nella sfida di monitorare attivamente i vaccini contro il COVID-19

Bibliografia.

Petousis-Harris, H. Assessing the Safety of COVID-19 Vaccines: A Primer. Drug Saf (2020).

E’ possibile leggere l’articolo completo qui.

Sospensione di farmaci per motivi di sicurezza: una revisione dei dati che supportano la decisione di sospensione.

Metodi.

Gli autori hanno analizzato i farmaci sospesi dal mercato tra il 1990 e il 2010. Tutte le Agenzie Regolatorie dei farmaci che fanno parte del programma per Monitoraggio Internazionale dei Farmaci (Program for International Drug Monitoring) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sono state contattate. Per avere una maggiore completezza dei dati, sono stati analizzati Medline, libri di riferimento e database dei farmaci. Le fonti di informazione sulle quali le autorità basano i motivi della sospensione sono state categorizzate ed è stato poi calcolato il tempo medio tra la data della prima esposizione dei soggetti al farmaco e il momento della sospensione.

Risultati.

Un totale di 133 farmaci che rispondevano ai criteri di inclusione e di esclusione sono stati sospesi dal mercato per ragioni di sicurezza nel periodo oggetto della presente revisione (1990 – 2010). Le ragioni principali responsabili della sospensione del 69,2 % di tutti i farmaci sono state le seguenti: epatotossicità (n=36, 27.1%), disordini cardiaci (n=25, 18.8%), ipersensibilità (n=17, 12.8%) e nefrotossicità (n=14, 9.8%).

Nella maggior parte dei casi, le fonti di informazione determinanti per la sospensione dei farmaci consistevano in segnalazioni spontanee e/o in case reports (n=86, 64.7%), seguite da segnalazioni provenienti da studi clinici (n=24, 18.0%). Il tempo medio tra l’introduzione di un farmaco nel mercato e la sua sospensione definitiva per motivi di sicurezza è stata di circa 20.3 anni (SD±13.8).

Discussione e conclusioni.

Sulla base delle evidenze disponibili e pubblicate, non esiste un metodo gold standard per identificare i rischi associati all’esposizione ai farmaci. I dati riportati dagli autori sottolineano il ruolo che le differenti fonti di informazione giocano nel contribuire al processo di revisione della sicurezza dei farmaci.

Un ruolo fondamentale è rivestito chiaramente dalla segnalazione spontanea e dai case report che contribuiscono alla comunicazione delle informazioni di sicurezza per quasi i 2/3 di tutte le fonti disponibili. Ciò attribuisce nuovamente un ruolo essenziale ai sistemi di farmacovigilanza nazionali nel reperimento di tali informazioni sulla sicurezza dei farmaci.

Le principali 10 ragioni di ritiro dei farmaci dal mercato:

Bibliografia.

Nuno Sales Craveiro*, Bruno Silva Lopes, Lara Tomás and Sofia Fraga Almeida, “Drug Withdrawal Due to Safety: A Review of the Data Supporting Withdrawal Decision”, Current Drug Safety (2020) 15: 4. E’ possibile leggere l’articolo completo qui

Esposizione intrauterina ai farmaci biologici, una revisione sistematica sulla sicurezza

Le malattie autoimmuni infiammatorie sono malattie croniche che spesso colpiscono le donne in età fertile. Pertanto, è importante una conoscenza dettagliata del profilo di sicurezza dei farmaci utilizzati per la gestione delle malattie autoimmuni infiammatorie durante la gravidanza. Tuttavia, in molti casi i potenziali effetti dannosi dei farmaci (soprattutto biologici) durante la gravidanza (e l’allattamento) su madre e bambino non sono stati completamente identificati.

Obiettivo: Lo scopo dello studio era aggiornare i dati sul verificarsi di aborti spontanei e malformazioni congenite (maggiori) quando si utilizzano farmaci biologici durante la gravidanza sulla base di articoli di recente pubblicazione. Inoltre, sono stati selezionati diversi endpoint secondari che potrebbero essere di interesse per i medici, in particolare le informazioni sugli eventi avversi nell’uso di uno specifico biologico durante la gravidanza.

Materiale e metodi: è stata condotta una ricerca dal 1 ° gennaio 2015 al 4 luglio 2019 in Embase.com, Medline Ovid, Web of Science, Cochrane CENTRAL e Google Scholar con termini di ricerca specifici per ciascun database. La selezione delle pubblicazioni era basata sul titolo / abstract e seguita dal testo completo (in doppio cieco, due ricercatori).

Risultati: sono state incluse 143 pubblicazioni in totale. Il numero totale di casi variava da 9 per Canakinumab a 4276 per Infliximab. Le percentuali di aborti spontanei e malformazioni congenite maggiori non hanno mostrato differenze rilevanti da quelle percentuali nella popolazione generale (stimate nello studio come 10–20% e 2–5.5% nella popolazione generale).

Conclusione: nonostante i limiti dello studio, non sono stati segnalati problemi di sicurezza importanti e non è stato possibile identificare alcuna tendenza nelle malformazioni riportate.

È probabile che adalimumab, certolizumab ed etanercept possano essere presumibilmente prescritti in modo sicuro durante la gravidanza, soprattutto considerando gli effetti negativi della malattia attiva sulle madri, gli esiti della gravidanza, e i bambini.

Per quanto riguarda infliximab, sono stati rilevati tassi elevati di infezioni nei bambini, principalmente da uno studio, ed è raccomandato un approccio più conservatore, in particolare una terapia di combinazione con le tiopurine.

L’interruzione prima del terzo trimestre può ridurre la possibilità di infezioni nella prole. Inoltre, i rischi dell’utilizzo di abatacept, anakinra, canakinumab, golimumab, rituximab, tocilizumab, ustekinumab e vedolizumab non sono ben conosciuti e i dati noti disponibili a riguardo sono scarsi. Questo studio conferma le precedenti revisioni della letteratura effettuate sull’ uso e la sicurezza dei farmaci biologici durante la gravidanza nelle malattie autoimmuni.

Leggi l’articolo completo qui.

Il ruolo dei media nella diffusione di fake news sui farmaci

American Society for Clinical Pharmacology and Therapeutics

I media rappresentano una strada potenzialmente efficace per diffondere l’educazione al benessere. Ad esempio, possono essere utilizzati per la gestione del rischio basata sulla comunità, inclusa la preparazione per eventi pandemici. Un sondaggio dell’Ufficio per la prevenzione e la promozione della salute del Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti ha rivelato che nessun singolo tipo di materiale cartaceo sulla salute era efficace quanto le fonti non stampate, comprese TV e radio. Sfortunatamente, non tutte le informazioni fornite dai media radiotelevisivi sono supportate da dati scientifici e, in alcuni casi, vengono fornite informazioni fuorvianti o non fattuali per rendere una particolare storia più attraente o per creare sensazione. Ad esempio, è pratica comune per i media presentare immagini incredibilmente drammatiche e distorte di malattie mentali che enfatizzano la pericolosità, la criminalità e l’imprevedibilità.  

D’altra parte, studi scientifici mal progettati o valutati possono contribuire alla diffusione di informazioni errate nei mass media, come evidenziato dalla visione pervasiva che i vaccini siano associati all’autismo, una convinzione che da allora è stata confutata molte volte. Con l’aumento del numero di spettacoli medici di fantasia in TV, questo problema ha assunto particolare rilevanza.  Molti drammi medici statunitensi e britannici vengono esportati e trasmessi in streaming in tutto il mondo e i consumatori stanno diventando sempre più consapevoli di farmaci specifici e dei loro usi. Per evitare errori nei drammi medici, è stato istituito nel 1994 il programma Hollywood, Health & Society, fornendo consulenza medica gratuita a sceneggiatori e produttori attraverso brevi fatti e suggerimenti. Tuttavia, non sono incluse informazioni specifiche su indicazioni, dosaggi o punti di forza dei farmaci, che portano a raccomandazioni incomplete e forse errate presentate agli spettatori. 

Per valutare se le informazioni potenzialmente influenti fornite attraverso i media sono accurate, è stata analizzata l’accuratezza delle prescrizioni di farmaci mostrati in spettacoli televisivi fittizi a tema medico trasmessi tra il 1989 e il 2014. Di tutte queste, l’88,1% è stato considerata accurata, con la dose errata come motivo più comune di inesattezza, (44,6% degli errori), seguito da un’indicazione inappropriata (43%). Di recente, un team di ricercatori australiani ha esplorato ulteriormente questo argomento. Dopo aver studiato una serie di episodi casuali dei famosi drammi medici, tra cui dr. House, Grey’s Anatomy, Royal Pains, Doc Martin e Nurse Jackie per l’appropriatezza dei loro consigli sui farmaci, sono state rivelate alcune statistiche interessanti. Sebbene l’indicazione del farmaco fosse corretta nel 71% delle volte per tutti gli spettacoli combinati, l’aderenza alle linee guida basate sull’evidenza era generalmente scarsa, con differenze interessanti tra i diversi programmi TV, omettendo spesso importanti controlli di sicurezza, come la conferma dello stato di allergia ai farmaci e il corretto dosaggio del farmaco; in particolare, Doc Martin e Dr. House hanno dimostrato una migliore aderenza alle linee guida cliniche (41% e 40%, rispettivamente) rispetto a Grey’s Anatomy (25%). 

Anche per quanto riguarda i media online, l’analisi di più di 300 video su Youtube ha rivelato che per la maggior parte dei farmaci i contenuti spesso non riflettono adeguatamente ciò che si sa sulla sicurezza del loro uso.

In conclusione , sebbene nei film e nei drammi televisivi prodotti esclusivamente a scopo di intrattenimento possa non essere richiesto di presentare informazioni accurate, molte persone utilizzano le informazioni presentate nei media per prendere decisioni sulla propria salute; pertanto occorre maturare  negli spettatori la consapevolezza che le informazioni mediche e farmaceutiche fornite nei programmi TV potrebbero non essere esatte o pertinenti alla loro situazione personale e dovrebbero essere interpretate con cautela, invitandoli, tramite i loro medici, a confermare qualsiasi informazione sui farmaci in TV utilizzando pubblicazioni, siti Web e professionisti sanitari affidabili.  D’altra parte, vista l’entità del problema, si suggerisce una maggiore partecipazione dei professionisti sanitari più qualificati nello spazio dei media, il che impone la necessità di sviluppo da parte delle associazioni mediche professionali e degli organismi di regolamentazione di linee guida e codici di condotta per tutti i contenuti dei media.

Bibliografia: 1. Jackson Thomas, Gregory M. Peterson, Erin Walker, Julia K. Christenson, Melissa Cowley, Sam Kosari, Kavya E. Baby and Mark Naunton,  Fake News: Medicines Misinformation by the Media. CLINICAL PHARMACOLOGY & THERAPEUTICS 2018 Dec;104(6):1059-1061. doi: 10.1002/cpt.1199

Segnalazione delle reazioni avverse in Africa

International Journal of Clinical Phamracy

Le reazioni avverse da farmaco (ADR, Adverse Drug Reactions) hanno un peso estremamente rilevante sui sistemi sanitari: secondo un sondaggio del 2007 condotto in Europa, Australia, Canada e Stati Uniti, una percentuale variabile tra il 2.5% e il 30% degli accessi al Pronto Soccorso sono ascrivibili ad ADR, mentre uno studio svolto nel Regno Unito ha mostrato un aumento dagli 8 ai 20 giorni dei tempi medi di degenza in ospedale.

Le politiche di farmacovigilanza a livello internazionale sono coordinate dal Programme for International Drug Monitoring (PIDM) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il cui centro operativo è l’Uppsala Monitoring Centre, in Svezia, che ha la responsabilità di gestire il database internazionale (VigiBase) sulle segnalazioni di ADR inoltrate dalle autorità nazionali.

Uno dei parametri chiave del monitoraggio della sicurezza dei farmaci è rappresentato dalla partecipazione attiva dei governi, delle aziende farmaceutiche, degli operatori sanitari, degli ambienti accademici, dei consumatori e dei media. Tuttavia, i tassi di segnalazione di moltissimi paesi rimangono estremamente bassi, con percentuali di sotto-segnalazione che rasentano il 94%.

La situazione è ancora più drammatica se si prendono in considerazione i paesi in via di sviluppo: di fatto meno dell’1% delle segnalazioni tra il 1992 e il 2015 ha avuto origine nel continente africano, il che non stupisce, se si prendono in considerazione i numerosi fattori in gioco: la mancanza di un’infrastruttura di base, l’inadeguatezza e la scarsa preparazione del personale sanitario, la scarsa conoscenza delle norme di farmacovigilanza e farmacoepidemiologia, gli errori medici e la paura di conseguenze legali, ma anche l’ignoranza dei pazienti, con le rispettive differenze etniche e culturali, e la tendenza a non rivolgersi alle istituzioni sanitarie, l’auto-medicazione, e ancora problemi riguardo la qualità dei prodotti medicali, la contraffazione, la debolezza della struttura amministrativa, delle politiche statali e del contesto legale in genere.

La segnalazione da parte dei cittadini/pazienti si è dimostrata un valido strumento per migliorare la sicurezza dei farmaci, perlomeno nei paesi più sviluppati che hanno saputo implementare politiche sanitarie adeguate.

Uno studio pubblicato recentemente sull’International Journal of Clinical Pharmacy, è andato a identificare le attuali informazioni disponibili riguardo alla segnalazione di ADR da parte dei “consumatori” in Africa (tassi di segnalazione, confronto con operatori sanitari e aziende farmaceutiche, criticità e opportunità), attraverso una revisione della letteratura e delle linee guida, dal 1992 al 2019.

In sintesi, solo 16 Paesi africani hanno implementato politiche sanitarie che accettano segnalazioni da parte dei consumatori, tra cui Algeria, Botswana, Egitto, Etiopia, Gambia, Ghana, Kenya, Liberia, Marocco, Namibia, Nigeria, Ruanda, Sierra Leone, Tanzania, Zambia e Zimbabwe. In Sud Africa il segnalatore deve necessariamente passare attraverso un operatore sanitario (medico, farmacista, infermiere, dentista, veterinario), mentre in Botswana la segnalazione è permessa ma richiede ulteriori informazioni fornite da un medico. Di fatto, dei 36 stati africani membri del PIDM solo 8 permettono la segnalazione diretta da parte dei cittadini, ovvero il 14.2% del totale

C’è una scarsa consapevolezza da parte dei consumatori per quel che riguarda il sistema di farmacovigilanza e la segnalazione; consapevolezza che è aumentata, solo marginalmente, negli ultimi anni. C’è infatti una netta differenza tra il tasso di segnalazione da parte del consumatore nei paesi africani rispetto ai paesi più sviluppati, in rapporto al tasso di segnalazione da parte degli operatori sanitari.

Eppure, come dimostra uno studio effettuato in Danimarca, in confronto ai sanitari, i consumatori tendono ad effettuare un maggior numero di segnalazioni quando le ADR riguardano il Sistema Nervoso Centrale, i disturbi psichiatrici, il sistema riproduttivo e mammario. Essi includono inoltre maggiori informazioni riguardo al grado di severità della reazione e l’impatto sulle attività quotidiane come salire le scale, il sonno, il peso corporeo ed altre problematiche generali.

Si tratta pertanto di una risorsa di fondamentale importanza. Purtroppo, però, ciò si scontra con la scarsa tendenza delle politiche sanitarie di molti paesi africani ad investire nella farmacovigilanza e nella promozione della partecipazione dei cittadini al buon uso del farmaco.

Adedeji-Adenola, H., Nlooto, M. Direct reporting of adverse drug reactions by healthcare consumers in Africa: a narrative review. 
Int J Clin Pharm (2020). https://doi.org/10.1007/s11096-020-01141-x

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