Pancreas e reazioni avverse ai farmaci: una revisione della letteratura

Le reazioni avverse al farmaco (ADR) che colpiscono il pancreas rappresentano un gruppo eterogeneo di effetti collaterali che causano danni alle cellule pancreatiche. Vari meccanismi come l’ipersensibilizzazione, la costrizione dello sfintere di Oddi, gli effetti citotossici e metabolici diretti sulle cellule pancreatiche e l’idiosincrasia dose-dipendente portano all’attivazione intrapancreatica degli enzimi pancreatici con conseguente pancreatite acuta indotta da farmaci.

Nonostante il fatto che il pancreas includa un efficiente metabolismo xenobiotico, la sua distribuzione all’interno del parenchima pancreatico differisce a seconda del tipo di cellula: le cellule pancreatiche endocrine hanno una maggiore quantità di enzimi metabolizzanti di fase I e II rispetto alle cellule esocrine; tuttavia, il pancreas esocrino è più suscettibile alla tossicità xenobiotica.

Diversi farmaci sono stati collegati con lo sviluppo del cancro del pancreas che può derivare da effetti proinfiammatori, proliferativi e anti-apoptotici. L’effetto diabetogeno dei farmaci, che è inteso come compromissione della secrezione di insulina, può verificarsi a causa della distruzione diretta delle cellule β, della tossicità sistemica che colpisce le isole pancreatiche e i trasportatori di glucosio della membrana cellulare, dell’induzione della risposta autoimmune di tipo Th1 e della compromissione dei canali del calcio voltaggio-dipendenti nelle cellule β, dello stress del reticolo endoplasmatico e della segnalazione dell’insulina.

In questo lavoro sono stati esaminati i dati disponibili sulle ADR che interessano il pancreas concentrandosi sui patomeccanismi postulati. La ricerca è stata condotta nella Banca dati PubMed (fino al 31 dicembre 2021) per le pubblicazioni sulla lesione pancreatica indotta da farmaci con un meccanismo plausibile dell’evento o della reazione avversa descritta.

I dati relativi alle ADR che interessano il pancreas sono in continua crescita. Nel periodo 2011-2021 sono stati segnalati un totale di 41.064 casi di pancreatite alla FDA Adverse Event.

Una migliore comprensione delle ADR che colpiscono il pancreas può contribuire a migliorare la consapevolezza di medici e pazienti e ridurre i potenziali effetti collaterali dannosi delle terapie implementate.

Bibliografia

Sosnowski, K., Nehring, P. & Przybyłkowski, A. Pancreas and Adverse Drug Reactions: A Literature Review. Drug Saf (2022).

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Incidenza, patogenesi e gestione della nefrotossicità indotta da inibitori di pompa protonica

Gli inibitori di pompa protonica (PPI) sono ampiamente utilizzati nel trattamento di varie patologie legate all’acidità e sono tra i farmaci più comunemente utilizzati. Alcuni studi stimano che il 25-70% degli inibitori della pompa protonica sia prescritto per trattamenti, dosi e indicazioni inappropriate, dove i benefici dell’uso degli inibitori di pompa protonica possono essere inferiori al rischio di reazioni avverse per molti pazienti.

Un numero crescente di segnalazioni ha legato l’uso a lungo termine dei PPI a gravi ADR, tra cui carcinoide gastrico, frattura dell’anca, ipomagnesemia, carenze nutrizionali, eventi cardiovascolari, infezioni intestinali e soprattutto lesioni renali.

La nefrite interstiziale acuta (AIN) è una lesione renale immuno-mediata caratterizzata da infiammazione tubulo-interstiziale acuta e rappresenta circa un quarto di tutti i casi di danno renale acuto (AKI). Tra le varie eziologie di AIN, le reazioni specifiche ai farmaci sono le più importanti.L’insorgenza della nefrite interstiziale acuta è stata associata all’uso a lungo termine degli inibitori di pompa protonica.

In questa revisione, gli autori riassumono le attuali conoscenze sugli inibitori di pompa protonica e l’associazione con nefrite interstiziale acuta, malattia renale cronica e persino malattia renale allo stadio terminale in termini di incidenza, patogenesi, fattori, caratteristiche cliniche e diagnosi. Viene discusso come questi fattori cambino in condizioni di nefrite interstiziale acuta, malattia renale cronica e malattia renale in fase terminale.

Lo scopo di questa revisione è quello di valutare le attuali evidenze per aiutare i medici e i pazienti a interpretare la potenziale relazione causale tra l’assunzione di inibitori di pompa protonica e la nefrotossicità.

Ciò può indurre i medici a riconsiderare la dose e la durata appropriate della terapia con inibitori della pompa protonica per evitare un uso inappropriato.

Bibliografia

Wei X. Incidence, Pathogenesis, and Management of Proton Pump Inhibitor-Induced Nephrotoxicity. Drug Saf. 2022 Jul;45(7):703-712.

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Sicurezza della fexofenadina e di altri antistaminici orali di seconda generazione

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L’obiettivo principale dello studio è valutare l’impatto sul profilo di sicurezza della fexofenadina in Italia, successivamente alla rimozione dell’obbligo di ricetta, rapportato con altri paesi europei attraverso l’analisi del database FAERS (FDA Adverts Event Reporting System).

Il passaggio per alcuni farmaci dalla necessità della ricetta medica a farmaco di autosomministrazione ha un impatto importante nel mercato farmaceutico, tanto che, dalle previsioni fatte al 2024, ci si aspetta un incremento della loro vendita.

La fexofenadina è un antistaminico di seconda generazione, commercializzato per la prima volta in Europa nel 1990 sotto prescrizione medica e dal 2008 come farmaco da banco (OTC); in Italia è in OTC dal 2016.

La Società Canadese di Allergia e Immunologia Clinica (CSACI) raccomanda che la nuova generazione di antistaminici sia trattamento di prima linea nel contesto di rinite allergica e orticaria, a causa del superiore profilo di efficacia; per cui è di grande importanza valutare la loro sicurezza nella pratica quotidiana.

Nello studio sono stati considerati tutti i report italiani di reazione avversa grave per fexofenadina, cetirizina o loratidina, presenti nel database FAERS dal primo gennaio 2010 al 30 giugno 2020; confrontandoli con i report per la fexofenadina provenienti dal Belgio, Finlandia, Portogallo, Svizzera e Ungheria.

In Italia, nel periodo, sono state identificate otto sospette reazioni avverse gravi, cinque delle quali indicavano la fexofenadina come il solo farmaco sospetto, due delle quali ascrivibili al periodo in cui era ancora necessaria la prescrizione; mentre negli altri stati europei considerati sono stati evidenziati tra i 2 e i 5 report.

Il piccolo numero di eventi avversi riportati per fexofenadina e alcuni altri antistaminici orali di seconda generazione nel periodo compreso tra il 2010 e il 2020 può essere conseguente all’ottimo profilo di sicurezza di questi medicinali. L’aumento di eventi avversi, quando è stato tolto l’obbligo di ricetta può essere la conseguenza delle aumentate vendite e di un’intensificazione dell’attività di farmacovigilanza.

Questo studio suggerisce l’assenza di un impatto sul profilo di sicurezza della fexofenadina, al variare del tipo di prescrizione; inoltre, mette in luce I sistemi di segnalazione spontanea come una preziosa fonte per esplorare e caratterizzare l’uso dei farmaci OTC nella pratica quotidiana.

Bibliografia:

Carnovale C, Battini V, Gringeri M et al. Safety of fexofenadine and other second-generation oral antihistamines before and after the removal of the prescription requirement in Italy and other European countries: A real-world evidence study and systematic review. World Allergy Organ J. 2022 Jul 2;15(7)

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Reazioni di ipersensibilità ai farmaci non mediate dalle IgE

L’ipersensibilità ai farmaci gioca un ruolo significativo nel decorso clinico del paziente, dal vietare l’uso di alcuni farmaci come terapie di prima linea, all’essere una significativa causa di morbilità e mortalità. Sebbene esistano molteplici meccanismi per le reazioni di ipersensibilità (HSRs), le reazioni IgE mediate sono state le uniche ben studiate. Al contrario, esistono reazioni a farmaci non IgE-mediate che non sono state tradizionalmente studiate, sebbene risultino la forma più comune di ipersensibilità.

Le loro presentazioni sono molto variegate e possono variare in termini di gravità da reazioni lievi, reazioni solo cutanee, a gravi malattie sistemiche.

Complessivamente, sembra che le HSR non IgE-mediate da farmaci siano almeno altrettanto comuni, se non più comuni, rispetto alle reazioni IgE-mediate.

Gli alleli HLA sono stati tradizionalmente utilizzati per identificare alcuni pazienti a rischio di sindrome di ipersensibilità all’abacavir, ma studi più recenti hanno dimostrato che diversi altri alleli HLA sono associati a gravi reazioni avverse cutanee con altri vari farmaci.

Le reazioni non IgE-mediate hanno registrato un aumento dell’interesse della ricerca nell’ultimo decennio, con una maggiore enfasi sulla comprensione della presentazione clinica e della fisiopatologia sottostante.

Ci sono stati progressi significativi progressi nei test genetici degli alleli HLA che hanno fornito un approccio notevole nella previsione di alcuni tipi di gravi reazioni avverse cutanee (SCAR), e sono in fase di studio nuovi strumenti diagnostici che hanno mostrato un certo potenziale.

Permangono significative esigenze non soddisfatte per le reazioni non IgE-mediate, tra cui test diagnostici più affidabili, protocolli di premedicazione standardizzati e test diagnostici più affidabili, protocolli di premedicazione standardizzati e algoritmi di trattamento convalidati.

L’articolo qui presentato passa in rassegna i meccanismi proposti per le reazioni avverse a farmaci non IgE-mediate e i metodi per diagnosticarle.

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Rischio di psoriasi dopo esposizione ai beta-bloccanti

Uno studio condotto su database francesi ha messo in evidenza un possibile segnale di farmacovigilanza riguardante un aumento di casi di psoriasi che si possono verificare dopo esposizione ai beta-bloccanti.

La psoriasi è una malattia infiammatoria immuno-mediata della pelle di natura cronica, la prevalenza nella popolazione generale è stimata tra lo 0,5 e l’11,5%, con una maggiore frequenza nel sesso maschile.

Il meccanismo fisiopatologico è complesso e comprende disturbi che influenzano la proliferazione e la differenziazione dei cheratinociti, nonché un’attivazione anomala del sistema immunitario. È una malattia multiforme e la diagnosi è principalmente clinica.

La forma più comune (’80-90% di tutti i casi) è la psoriasi a placche, caratterizzata da lesioni eritro-squamose, ben definite, spesso asimmetriche, di dimensioni variabili.

I β-bloccanti sono una classe di farmaci con azione bloccante dei recettori β-adrenergici. Vengono utilizzati principalmente come antiaritmici, come antipertensivi e antianginosi.

Nello studio francese è stata eseguita un’analisi retrospettiva e descrittiva. Sono state esaminate tutte le segnalazioni spontanee di psoriasi con esposizione a BB dall’inizio del database nel 1985,fino al 31 dicembre 2019.

Per ogni betabloccante (cioè acebutolo, atenololo, betaxololo, bisoprololo, carvedilolo, carteololo, celiprololo, labetalolo, levobunololo, metipranololo, metoprololo, nebivololo, nadololo, pindololo, propranololo, sotalolo, tertatolo, timololo), è stata eseguita una ricerca nel database utilizzando segnalazioni codificate su MedDRA (il Dizionario medico per le attività di regolamentazione) come “condizioni psoriasiche” e “artropatia psoriasica”.

Sono state incluse nello studio solo le notifiche in cui i betabloccanti erano considerati “sospetti”. Per ogni notifica sono state registrate le variabili relative al paziente (età, sesso e anamnesi), al farmaco (indicazioni, dosaggio, regime, via di somministrazione e durata della prescrizione) e alla reazione avversa (tempo di insorgenza, gravità ed esito).

È stata valutata l’associazione tra rischio di psoriasi ed esposizione a betabloccanti utilizzando studi “Case-Non Case” (caso- non caso), una metodica utilizzata per valutare la sicurezza dei farmaci analizzando la sproporzione delle segnalazioni di reazioni avverse ai farmaci nei database di farmacovigilanza. Quando i pazienti esposti a un particolare farmaco (“casi”) presentano una percentuale maggiore di reazioni avverse rispetto a quelli non esposti a quel farmaco (“non casi”), il legame tra la reazione avversa e il singolo farmaco attivo può suggerire un possibile problema di sicurezza.

Nel periodo di studio sono state registrate nel database francese 225 segnalazioni di condizioni psoriasiche dopo esposizione a betabloccanti. Sono stati coinvolti sia quelli cardioselettivi che non cardioselettivi, topici e sistemici. L’indicazione terapeutica era principalmente l’ipertensione. Il tempo medio di insorgenza è stato di 5 mesi e vi è stato un miglioramento nel 68% dei casi dopo la sospensione del farmaco. Queste caratteristiche sono risultate in accordo con quelle riportate in letteratura.

Queste evidenze suggeriscono che il rischio di psoriasi in associazione all’utilizzo di betabloccanti è un effetto di classe di questi composti, quindi non legato al singolo farmaco, ma all’intera famiglia dei betabloccanti. Pertanto, sarebbe consigliabile aumentare la sorveglianza soprattutto nel primo anno di utilizzo.

Bibliografia

Azzouz B, De Guizelin A, Lambert A, Fresse A, Morel A, Trenque T. Psoriasis risk after beta-blocker exposure: Description of a pharmacovigilance signal. Br J Clin Pharmacol. 2022.

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Sicurezza ed efficacia a lungo termine di ozanimod nella sclerosi multipla recidiveante/remittente: fino a 5 anni di follow-up nel trial di estensione in aperto (DAYBREAK)

Lo studio di estensione DAYBREAK, pubblicato su “Multiple Sclerosis Journal” nel giugno del 2022 vuole valutare l’efficacia e la sicurezza del ozanimod per un periodo di ulteriori 5 anni agli studi in essere, in pazienti con sclerosi multipla recidivante/remittente.

Il campione è costituito dalle persone che abbiano completato uno di questi studi: studio di fase 1 RPC01-1001, studio di fase 2 RADIANCE, uno dei due studi di fase 3 (RADIANCE, SUNBEAM).

La sicurezza è stata valutata attraverso: esame obiettivo, dermatologico, elettrocardiogramma, test di funzionalità polmonare, OCT e RM, test di laboratorio. L’efficacia è stata valutata attraverso il tasso annuale di ricadute, il tempo entro cui compare la prima ricaduta, il tempo libero da ricadute; il numero di nuove lesioni o l’aumento di volume di quelle già esistenti alla RM, il numero di lesioni che captano il gadolinio, il tempo di progressione dell’invalidità a tre e sei mesi.

L’attività di malattia valutata sia attraverso la clinica che con l’ausilio delle immagini radiologiche, rimane bassa nei pazienti che ricevono il farmaco alla posologia di 0.92 mg senza interruzioni. Nei pazienti che passano ad ozanimod da una terapia con interferone β-1 o da una terapia con ozonimod alla posologia di 0.46 mg si evidenzia una riduzione del tasso di recidiva annuale e della comparsa di nuove lesioni alla risonanza magnetica cerebrale.

Considerando l’attività immunomodulante del farmaco e quindi valutando l’incidenza di comparsa di infezione erpetica o della sua riattivazione non è stato evidenziato un aumento di questo parametro. Gli autori consapevoli che gli immunomodulanti possano favorire la comparsa di patologie neoplastiche, soprattutto a livello cutaneo, tra cui, prevalentemente, il carcinoma basocellulare, hanno voluto verificarlo anche per l’ozalimod rilevando un’incidenza simile a quella nella popolazione generale. L’incidenza dell’edema maculare, della bradicardia, dei deficit respiratori sono stati bassi; mentre degno di monitoraggio: il tumore alla mammella (0,5% della popolazione femminile).

Limiti di questo studio sono rappresentati da un limitato gruppo di controllo. Pazienti con bassi outcome favorevoli potrebbero aver abbandonato gli studi precedenti e quindi rappresentare un potenziale bias.

I risultati di questo studio mostrano come in pazienti con sclerosi multipla recidivante/remittente, la terapia con ozanimed alla posologia di 0.92 mg somministrato per 5 anni in maniera continuativa hanno dimostrato un buon profilo di sicurezza ed un controllo dell’attività di malattia e della progressione della disabilità.

Bibliografia

Cree BA, Selmaj KW, Steinman L, Comi G, Bar-Or A, Arnold DL, Hartung HP, Montalbán X, Havrdová EK, Sheffield JK, Minton N, Cheng CY, Silva D, Kappos L, Cohen JA. Long-term safety and efficacy of ozanimod in relapsing multiple sclerosis: Up to 5 years of follow-up in the DAYBREAK open-label extension trial. Mult Scler. 2022 Jun 28

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Rischio comparativo di malattia di Alzheimer tra pazienti affetti da Artrite reumatoide in terapia con farmaci antireumatici a bersaglio molecolare modificanti la malattia

Obiettivo

Valutare l’associazione tra il trattamento con tofacitinib, tocilizumab o TNF inibitori rispetto ad abatacept e il rischio di AD incidente.

Metodi

Questo studio di coorte è stato condotto tra i pazienti statunitensi assistiti attraverso il programma Medicare con artrite reumatoide di età pari o superiore a 65 anni dal 2007 al 2017.

I pazienti sono stati suddivisi in 3 coorti in base all’inizio della terapia con tofacitinib (un inibitore di JAK), tocilizumab (un inibitore dell’IL-6) o di inibitori del TNF rispetto al comparatore comune abatacept (un inibitore dell’attivazione delle cellule T). Le analisi sono state condotte da agosto 2020 ad agosto 2021.

L’esito principale era l’insorgenza di AD in base ai codici di diagnosi valutati in 4 schemi di analisi alternativi, identificando l’AD attraverso prescrizioni di farmaci sintomatici e codici di diagnosi. I rapporti di rischio (HR) con 95% CI sono stati calcolati dalla regressione di rischio proporzionale di Cox dopo l’aggiustamento per 79 caratteristiche pre-esposizione attraverso l’abbinamento del punteggio di propensione.

Risultati

Dopo l’abbinamento del punteggio di propensione 1:1 ai pazienti che hanno utilizzato abatacept, un totale di 22 569 coppie di pazienti con punteggio di propensione, tra cui 4224 coppie di pazienti con tofacitinib (età media [SD] 72,19 [5,65] anni; 6945 [82,2%] donne), 6369 coppie di tocilizumab (età media [SD] 72,01 [5,46] anni; 10 105 [79,4%] donne), e 11 976 coppie di inibitori del TNF (età media [SD] 72,67 [5,91] anni; 19 710 [82,3%] donne), sono state valutate. I tassi di incidenza di AD variavano da 2 a 18 per 1000 anni persona nei vari schemi di analisi.

Non sono state riscontrate associazioni statisticamente significative di AD con tofacitinib (analisi 1: HR, 0,90 [95%CI, 0,55-1,51]; analisi 2: HR, 0,78 [95%CI, 0,53-1,13]; analisi 3: HR, 1,29 [95%CI, 0,72-2,33]; analisi 4: HR, 0,50 [95%CI, 0,21-1,20]), tocilizumab (analisi 1: HR, 0,82 [95%CI, 0,55-1,21 CI, 0,55-1,21]; analisi 2: HR, 1,05 [95%CI, 0,81-1,35]; analisi 3: HR, 1,21 [95%CI, 0,75-1,96]; analisi 4: HR, 0,78 [95%CI, 0,44-1,39]), o inibitori del TNF (analisi 1: HR, 0,93 [95%CI, 0,72-1,20]; analisi 2: HR, 1,02 [95%CI, 0,86-1,20]; analisi 3: HR, 1,13 [95%CI, 0,86-1,48]; analisi 4: 0,90 [95%CI,0,60-1,37]) rispetto ad abatacept.

I risultati delle analisi di sottogruppo pre-specificate per età, sesso e malattia cardiovascolare al basale sono stati coerenti, tranne che per i pazienti con malattia cardiovascolare, per i quali è stato riscontrato un rischio potenzialmente inferiore di AD con gli inibitori del TNF rispetto ad abatacept, ma solo in analisi 2 e 4 (analisi 1: HR, 0,76 [95%CI, 0,50-1,16]; analisi 2: HR, 0,74 [95%CI, 0,56-0,99]; analisi 3: HR, 1,03 [95%CI, 0,65-1,61]; analisi 4: HR, 0,45 [95%CI, 0,21-0,98]).

Conclusioni

Questo studio di coorte non ha rilevato alcuna associazione del rischio di AD in pazienti trattati con tofacitinib, tocilizumab o inibitori del TNF rispetto ad abatacept.

Bibliografia

Desai RJ, et al. Comparative Risk of Alzheimer Disease and Related Dementia Among Medicare Beneficiaries With Rheumatoid Arthritis Treated With Targeted Disease-Modifying Antirheumatic Agents. JAMA Netw Open. 2022 Apr 1;5(4):e226567.

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Reazioni avverse a olanzapina, clozapina e loxapina nei bambini e nei giovani: una revisione farmacogenetica sistematica

I bambini e i giovani trattati con farmaci antipsicotici (AP) sono particolarmente vulnerabili alle reazioni avverse ai farmaci (ADR) e inclini a una scarsa risposta al trattamento. In particolare, variazioni interindividuali nell’esposizione al farmaco possono derivare dal metabolismo differenziale degli AP da parte dei citocromi, soggetti a polimorfismo genetico. CYP1A2 è fondamentale nel metabolismo degli AP olanzapina, clozapina e loxapina, il cui profilo di sicurezza richiede cautela.

In questa revisione sistematica pubblicata su Pharmaceuticals da Merino et al., sono stati osservati i profili farmacogenetici eventualmente associati alle reazioni avverse dei farmaci antipsicotici e alla perdita di efficacia nei bambini e nei giovani. La revisione sistematica è stata condotta su quattro database, seguendo le raccomandazioni e la checklist 2020 sugli elementi di segnalazione preferiti per le revisioni sistematiche e le meta-analisi (PRISMA) 2020, con una valutazione della qualità.

Le reazioni avverse più frequenti sono state l’aumento di peso e la sindrome metabolica (18; 56,3%), seguite dall’ inefficacia terapeutica (8; 25%) e le reazioni avverse neurologiche (7; 21,8%). Il punteggio di qualità medio complessivo era 11,3/24 (±2,7). In 11 studi (34,3%), la genotipizzazione si è concentrata sullo studio dei citocromi. I risultati riguardanti le possibili associazioni a volte erano contrastanti. Tuttavia, i casi di miglioramento clinico maggiore sono stati favoriti dalla genotipizzazione. Ancora, CYP1A2 rimane poco studiato.

Gli autori concludono che ulteriori studi sarebbero necessari per migliorare la valutazione del rapporto rischio-beneficio della prescrizione per bambini e giovani trattati con olanzapina, clozapina e/o loxapina.

Bibliografia

Merino D, Fernandez A, Gérard AO, Ben Othman N, Rocher F, Askenazy F, Verstuyft C, Drici MD, Thümmler S. Adverse Drug Reactions of Olanzapine, Clozapine and Loxapine in Children and Youth: A Systematic Pharmacogenetic Review. Pharmaceuticals (Basel). 2022 Jun 14;15(6):749.

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Eventi avversi legati agli integratori alimentari a base di erbe e farmaci da banco contenenti lassativi: un aggiornamento a 10 anni dai sistemi italiani di Fitovigilanza e Farmacovigilanza.

Introduzione:

I prodotti contenenti antrachinoni (AQ) sono associati a un aumento del rischio di eventi avversi gravi (AE). Gli autori hanno effettuato un aggiornamento delle evidenze disponibili recuperate dalle segnalazioni spontanee di AE associati a integratori alimentari a base di erbe (DS) e farmaci da banco (OTC-M) utilizzati come lassativi.

Metodi:

L’analisi e la valutazione delle segnalazioni di AE recuperate dai sistemi italiani di fitovigilanza e farmacovigilanza sono state effettuate da febbraio 2011 a dicembre 2020.

Risultati:

Sono state analizzate 110 segnalazioni di AE, 24 relative a DS a base di erbe e 86 a OTC-M. La maggior parte dei soggetti era di sesso femminile. La maggior parte dei soggetti era di sesso femminile. I prodotti erboristici analizzati contenevano per lo più derivati dell’AQ. La maggior parte delle reazioni avverse è stata di tipo gastrointestinale (41,6%), del sistema nervoso centrale (18,2%) e dermatologico (12,6%).

Conclusioni:

Nonostante l’ampio uso di integratori lassativi a base di erbe e farmaci da banco, il numero totale di segnalazioni di AE registrate negli ultimi 10 anni è ancora relativamente basso. L’entità della sotto-segnalazione può essere significativa, dato che i lassativi sono
sono acquistati dai consumatori principalmente come prodotti senza prescrizione medica. In particolare, basandosi sull'”origine naturale” dei DS a base di erbe, essi sono generalmente percepiti dalla comunità come sicuri e privi di effetti collaterali.
Inoltre, data la gravità di alcuni effetti indesiderati, soprattutto in relazione agli integratori alimentari a base di erbe, il basso numero di segnalazioni non rappresenta una garanzia di sicurezza.
Questo studio può contribuire ad aumentare la consapevolezza della pubblica opinione e ad allertare gli operatori sanitari sui rischi per la salute associati all’uso improprio o all’abuso di lassativi contenenti AQ.

Bibliografia

Lombardi N, Crescioli G, Maggini V, Brilli V, Menniti-Ippolito F, Ippoliti I, Potenza S, Renda F, Mazzanti G, Vitalone A, Vannacci A, Firenzuoli F. Adverse events related to herbal dietary supplements and over-the-counter medications containing laxatives: a 10-year update from the Italian Phytovigilance and Pharmacovigilance systems. Ann Ist Super Sanita. 2022 Apr-Jun;58(2):131-138.

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Sicurezza della terapia di deplezione degli eosinofili per l’asma grave eosinofilico. Focus su Benralizumab.

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Gli eosinofili giocano un ruolo centrale nella patologia infiammatoria dell’asma e sono stati il bersaglio dei nuovi trattamenti biologici per i pazienti con asma eosinofilo.  

Dato il ruolo centrale dell’interleuchina IL-5 nel ciclo di vita degli eosinofili, sono state sviluppate diverse terapie contro la via dell’IL-5, tra cui gli anticorpi anti-IL-5, mepolizumab e reslizumab, e l’anticorpo citolitico diretto contro il recettore α dell’IL-5 (IL-5Rα), benralizumab.  

Le terapie per la deplezione degli eosinofili rappresentano una classe di trattamento dell’asma relativamente nuova di trattamenti per l’asma ed è importante comprenderne l’efficacia e la sicurezza a lungo termine.  

Gli eosinofili sono associati alla protezione dell’ospite e al controllo della crescita tumorale, e questo solleva potenziali preoccupazioni sulle conseguenze delle terapie a lungo termine che possano ridurre il numero degli eosinofili. Tuttavia, le prove di associazioni tra eosinopenia e infezioni o crescita tumorale nell’uomo sono contrastanti e in gran parte provengono da modelli murini. Sono stati accumulati numerosi dati prospettici su studi clinici e postmarketing, che hanno fornito informazioni sui potenziali rischi associati alla deplezione degli eosinofili e in questa revisione, viene esplorato l’attuale profilo di sicurezza delle terapie che riducono il numero degli eosinofili, con un focus sul benralizumab. 

Benralizumab è un anticorpo monoclonale citolitico diretto contro il IL-5Rα che colpisce ed elimina in modo efficiente gli eosinofili del sangue e dei tessuti, attraverso la citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente, ed è destinato al trattamento di pazienti con asma grave, con infiammazione eosinofila.  

L’analisi integrata dei dati di sicurezza di benralizumab di questa revisione si basa sugli studi di fase III SIROCCO e CALIMA, e del successivo studio di estensione BORA, e sugli studi di fase III GALATHEA e TERRANOVA. 

I risultati indicano che seppur legittime le preoccupazioni relative al rischio potenziale di una deplezione degli eosinofili, e seppur è importante una continua farmacovigilanza, queste preoccupazioni sono in contrasto con la sostanziale esperienza nel mondo reale finora maturata: negli studi clinici, la terapia anti-IL-5Rα è stata ben tollerata, con un profilo complessivo di eventi avversi simile a quello del placebo per tipo e frequenza. 

L’analisi integrata di circa 1600 pazienti con asma (di cui circa 1000 sono stati sono stati esposti a benralizumab in modo continuativo per un massimo di 2 anni) suggeriscono che la deplezione degli eosinofili dovuta al trattamento con benralizumab non aumenta il rischio di infezioni o tumori. 

Bibliografia

Jackson DJ, Korn S, Mathur SK, Barker P, Meka VG, Martin UJ, Zangrilli JG. Safety of Eosinophil-Depleting Therapy for Severe, Eosinophilic Asthma: Focus on Benralizumab. Drug Saf. 2020 May;43(5):409-425. 

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