Esketamina: una revisione sui dati di efficacia e sicurezza.

L’Esketamina è l’enantiomero S della ketamina racemica. Si tratta di un antagonista non selettivo e non competitivo del recettore N-metil-D-aspartato (NMDA), un recettore ionotropico glutammatergico. L’esketamina è stata approvata per l’uso nella “depressione resistente al trattamento” (definizione che comprende quei pazienti che non hanno risposto a due diversi trattamenti antidepressivi) negli Stati Uniti, in Europa e nel Regno Unito nel 2019. Una notizia che da alcuni è stata accolta con cautela, mentre altri ne hanno elogiato il nuovo impiego. D’altra parte, il National Institute for Health del Regno Unito e Care Excellence (NICE) ha pubblicato una bozza di linee guida nel gennaio 2020 raccomandando di non utilizzare l’esketamina per la depressione resistente al trattamento a causa della mancanza di prove di efficacia clinica e in termini di costi. Per questo è stata condotta una revisione sulle prove di efficacia e di sicurezza dell’esketamina negli studi presentati alla Food and Drug Administration (FDA) e ad altre agenzie regolatorie.

Complessivamente cinque studi sono stati presentati dall’azienda farmaceutica Janssen alla FDA per chiedere l’approvazione dell’esketamina come trattamento aggiuntivo per la ” depressione resistente alle terapie “: tre studi di efficacia, ciascuno della durata di 4 settimane, un discontinuation trial e uno studio di sicurezza della durata di 60 settimane.

La FDA normalmente richiede due trials di efficacia positiva per concedere in licenza un farmaco, “ciascuno convincente da solo”. Tuttavia, l’esketamina non ha soddisfatto nemmeno questo standard. Dei tre studi a breve termine condotti da Janssen solo uno ha mostrato una differenza statisticamente significativa tra esketamina e placebo. Questo studio ha rilevato una differenza di 4 punti sulla Montgomery – Åsberg Depression Rating Scale (MADRS) – che va da 0 a 60- favore dell’esketamina rispetto al placebo; tuttavia è stato riscontrato che una differenza di 4 punti corrisponde a un cambiamento inferiore al “minimo” sulla scala Clinical Global Impression (CGI) ed è un quarto della dimensione della risposta al placebo, suggerendo una dubbia rilevanza clinica.

Poiché la Janssen non è stata in grado di fornire due studi di efficacia positivi, la FDA ha allentato le sue regole e ha consentito un discontinuation trial per fornire prove di efficacia. Questo studio ha assegnato in modo casuale i pazienti che hanno dimostrato una “ remissione stabile ” dopo un trattamento con esketamina di 16 settimane (un gruppo altamente selezionato dei partecipanti) per continuare o interrompere l’esketamina e misurare la successiva ricaduta.

Questo disegno di studio ha rilevato notevoli problemi, in primis perché gli effetti di astinenza dal farmaco (da tempo noti) possono essere scambiati per ricaduta della depressione; in secondo luogo il fatto che lo studio non sia stato condotto in cieco; in terzo luogo la presenza di risultati definiti come “non robusti” a supporto di questo studio.  Infine, alcuni autori hanno sostenuto che siano stati minimizzati i segnali sulla sicurezza ­– decessi (inclusi i suicidi), eventi avversi quali dissociazione, vertigini, aumento della pressione sanguigna, ipoestesia, nausea e sedazione, e segni di irritazione della vescica, quali infezioni del tratto urinario, dolore, disagio, cistite e nicturia -.

Poiché storicamente non era infrequente che un noto farmaco di uso improprio, associato a danni significativi, venisse sempre più promosso nonostante le scarse prove di efficacia e senza adeguati studi di sicurezza a lungo termine, gli autori concludono augurandosi che non si ripetano gli stessi errori del passato, e che vengano richiesti ulteriori studi di efficacia, che si presti adeguata attenzione ai danni dell’esketamina, e vengano richiesti dati di efficacia a lungo termine e solidi studi di sicurezza.

Bibliografia

  1. Mark A. Horowitz and Joanna Moncrieff, Are we repeating mistakes of the past? A review of the evidence for esketamine. Br J Psychiatry. 2020 May 27;1-4. doi: 10.1192/bjp.2020.89

Terapie avanzate CAR-T: dal laboratorio al paziente.

Il primo report realizzato nell’ambito del progetto “Cell Therapy Open Source” frutto della collaborazione tra Osservatorio Terapie Avanzate e l’azienda Gilead Sciences è l’ebook “Le Terapie CAR-T, dal laboratorio al paziente”.

Si tratta di un approfondimento tematico che ha coinvolto i maggiori esperti italiani del settore. Viene illustrato che cosa sono le terapie avanzate e numerosi altri aspetti ad essi correlati. Le cellule CAR-T rappresentano una grande opportunità di innovazione sul piano terapeutico: esse rappresentano l’ultima frontiera dell’immunoterapia oncologica.

Le terapie CAR-T sono una grande e sostanziale evoluzione nell’ambito della cura ai tumori, tuttavia numerose sono ancora le sfide da affrontare e superare per inserirle stabilmente nella pratica clinica: la complessità nella produzione e nella somministrazione, gli aspetti regolatori, il problema dei costi e la sostenibilità della spesa per il Servizio Sanitario Nazionale senza dimenticare gli aspetti logistici e gestionali.

Le CAR-T spingono la medicina oncologica verso approcci sempre più personalizzati, per cogliere l’opportunità di fornire il miglior farmaco al giusto paziente.

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Monitoraggio terapeutico di bambini e adolescenti trattati con aripiprazolo

L’aripiprazolo, un antipsicotico di terza generazione che agisce come agonista parziale dei recettori dopaminergici D2 e 5-idrossitriptamina (5-HT) 1A, è approvato in Europa per il trattamento di pazienti con schizofrenia di età superiore ai 15 anni, così come per episodi maniacali negli adolescenti di età superiore ai 13 anni. Nella pratica clinica quotidiana, l’aripiprazolo è anche usato in pazienti con vari altri disturbi psichiatrici come disturbi da tic e sindrome di Tourette, disturbi dello spettro autistico e disturbi dirompenti con spiccato fenotipo comportamentale impulsivo.

Sebbene l’aripiprazolo sia uno degli antipsicotici più utilizzati, la conoscenza delle concentrazioni sieriche nei bambini e negli adolescenti è scarsa e non sono stati ancora stabiliti intervalli terapeutici specifici per età. A causa di queste incertezze, il monitoraggio terapeutico dei farmaci (TDM) è fortemente consigliato per il trattamento di bambini e adolescenti con farmaci psicotropi come l’aripiprazolo

A tal fine sono stati analizzati i dati di un servizio di monitoraggio di farmaci terapeutici di routine per valutare la relazione tra dose e concentrazione sierica di aripiprazolo in bambini e adolescenti, nonché le caratteristiche dei pazienti che possono influenzarla. Lo studio mirava anche a valutare se l’intervallo terapeutico di riferimento definito per gli adulti con schizofrenia (100–350 ng / ml) fosse valido e applicabile per bambini e adolescenti. Tutti i pazienti che avevano una valutazione TDM durante il trattamento farmacologico con aripiprazolo sono stati inclusi indipendentemente dalla diagnosi o dall’impostazione del trattamento (pazienti ricoverati, ambulatoriali, in unità diurna). I pazienti sono stati esclusi dallo studio se le condizioni allo stato stazionario per il prelievo di sangue non erano soddisfatte, mancavano dati rilevanti (ad es. dosaggio di aripiprazolo, informazioni rilevanti sul paziente) o se sono stati rilevati o non è stato possibile escludere problemi di compliance. Sono stati valutati i dati di 130 pazienti (di età compresa tra 7 e 19 anni) trattati con aripiprazolo per indicazioni diverse a dosi di 2-30 mg / die. Le caratteristiche del paziente, le dosi, le concentrazioni sieriche e il risultato terapeutico sono stati valutati mediante misure standardizzate.

È stata trovata una correlazione media positiva tra la dose giornaliera corretta in base al peso corporeo e la concentrazione di aripiprazolo, con un’elevata variabilità interindividuale nei livelli sierici. Le analisi di regressione lineare hanno rivelato che i livelli sierici di aripiprazolo influenzati in modo significativo dal sesso, con concentrazioni sostanzialmente maggiori nelle ragazze rispetto ai ragazzi (244,9 contro 173,4 mg / l). Le concentrazioni sieriche del presente campione pediatrico sono state quindi confrontate con il livello di riferimento per gli adulti. Circa il 70% di tutte le concentrazioni sieriche misurate rientrava nell’intervallo terapeutico raccomandato per gli adulti. Infine, calcolando un intervallo di riferimento terapeutico preliminare di aripiprazolo per bambini e adolescenti, i nostri dati suggeriscono una concentrazione terapeutica simile a quella stabilita per i pazienti adulti con schizofrenia.

Le reazioni avverse erano molto comuni e sono state osservate in quasi un paziente su due (48,8%). Tuttavia, la maggior parte delle ADR (55,9%) è stata classificata come “lieve” e solo il 3,4% come “grave”.

Sedazione e sonnolenza sono state le reazioni avverse segnalate più frequentemente osservate nel 25,4% dei pazienti e costituivano il 40,7% di tutti i sintomi di ADR segnalati. Altre ADR come l’aumento di peso sono state documentate nel 17,3%, seguite da una sensazione interiore di tensione e agitazione nel 13,6% e sintomi extrapiramidali nel 7,7% dei pazienti affetti da ADR. L’ipersalivazione è stata segnalata nel 6,2%, problemi di adattamento nel 4,9%, disturbi gastrointestinali nel 2,5%, disturbi cardiovascolari e dermatologici nell’1,2% dei pazienti affetti. Nel gruppo di pazienti con ADR, il 55,9% delle ADR è stato classificato come “lieve”, il 40,7% come “moderato” e il 3,4% come “grave”.

In conclusione, considerando i parametri farmacocinetici individuali, il TDM fornisce uno strumento di farmacovigilanza efficace nella popolazione pediatrica. Se confermati in campioni più grandi e disegni di studio più controllati, questi dati possono contribuire alla definizione di un intervallo terapeutico delle concentrazioni di aripiprazolo nei bambini e negli adolescenti.

Bibliografia

  1. Karin Egberts, Su‑Yin Reuter‑Dang, Stefanie Fekete, Christine Kulpok, Claudia Mehler‑Wex, Christoph Wewetzer, Andreas Karwautz, Michaela Mitterer, Kristian Holtkamp, Isabel Boege
    Rainer Burger, Marcel Romanos, Manfred Gerlach, Regina Taurines, Therapeutic drug monitoring of children and adolescents treate with aripiprazole: observational results from routine patient care. Journal of Neural Transmission, 2020 Sep 30. doi: 10.1007/s00702-020-02253-4

Approccio diagnostico alle reazioni da ipersensibilità a mezzi di contrasto iodato: esperienza di un centro italiano.

https://www.flaticon.com/free-icon/skin-prick-test_2038326

Le reazioni avverse ai mezzi di contrasto iodato sono un problema medico rilevante, sia per i numeri dei pazienti che le sperimentano, sia per la potenziale morbosità di tali gravi eventi. Inoltre, esse rappresentano un costo per i sistemi sanitari.

I pazienti con anamnesi positiva per reazioni allergiche sono correntemente sottoposti a una premedicazione con farmaci antistaminici e corticosteroidi, tuttavia le evidenze riguardo alla loro efficacia sono carenti. C’è poi la possibilità che il rischio venga sottostimato nei pazienti sottoposti a premedicazione.

Lo studio che viene qui presentato è basato sull’esperienza di un singolo centro allergologico italiano, a Firenze, il quale ha valutato in modo consecutivo 98 pazienti tra il 2015 e il 2018. I dati dei pazienti sono stati revisionati retrospettivamente. Essi sono stati sottoposti ad una valutazione allergologica complessiva che comprendeva test cutanei e test di provocazione con il farmaco (drug provocation tests – DPT), che riguardavano mezzi di contrasto iodato.

Nella popolazione considerata il test cutaneo è risultato essere positivo in 10 pazienti, di cui 7 hanno manifestato una reazione di ipersensibilità immediata (IHR) e 3 una reazione di ipersensibilità ritardata (DHR). La scelta del mezzo di contrasto iodato per il test di provocazione col farmaco è stata fatta sulla base dei risultatati del test cutaneo. Dopo aver avuto un risultato negativo al primo test DPT, 7 pazienti hanno accettato di essere sottoposti a un secondo DPT con un differente mezzo di contrasto: la reazione nella maggior parte dei casi risultava in un test di ipersensibilità ritardata. Tutti questi pazienti eccetto uno, hanno tollerato il DPT con un secondo differente mezzo di contrasto. Complessivamente il protocollo allergologico è stato completato da 94 pazienti (95.9%).

Il test DPT è stato assunto come gold standard. I test cutanei hanno mostrato un valore predittivo negativo molto alto (NPV) in paragone ai test di provocazione DPT, applicati in pazienti che avevano sperimentato una precedente reazione avversa immediata. Inoltre il valore predittivo negativo per i pazienti che avevano avuto in precedenza una reazione avversa ritardata era più basso. (NVP, 96.2% in IHR vs 58.8% in DHR , rispettivamente; p < 0.0001, test di Fisher).

Infine, 90 pazienti sono stati contattati telefonicamente per sapere se essi fossero stati esposti nuovamente a mezzi di contrasto per procedure radiologiche. 39 pazienti sono stati riesposti, senza alcuna premedicazione in 13 casi, 12 dei quali avevano tollerato il mezzo di contrasto iodato e uno ha avuto nuovamente una reazione nonostante un test DPT negativo per lo stesso mezzo di contrasto. Complessivamente, il valore predittivo negativo di questo protocollo era elevato (92.3%) per i pazienti che erano sottoposti a DPT e successivamente esposti allo stesso mezzo di contrasto in un constesto di vita reale.

E’ auspicabile una collaborazione tra tutti i sanitari implicati in tali procedure e in particolare un accurato check-up allergologico per assicurare al massimo la sicurezza di tali pazienti e prevenire reazioni avverse evitabili.

Bibliografia.

Meucci E, Radice A, Fassio F, Sibilio M, Iorno MLC, Testi S, Severino M, Macchia D. Diagnostic approach to hypersensitivity reactions to iodinated contrast media: a single-center experience on 98 patients. Eur Ann Allergy Clin Immunol. 2020 Sep;52(5):220-229. Leggi l’articolo completo qui.

Efficacia e sicurezza di glecaprevir / pibrentasvir per il trattamento di pazienti con infezione cronica da HCV: una meta-analisi.

Glecaprevir / pibrentasvir è un regime farmacologico antivirale pangenotipico ad azione diretta (DAA), recentemente approvato per il trattamento di adulti con infezione da genotipi 1–6 di HCV. Negli studi clinici multinazionali di fase II e III, il trattamento con glecaprevir / pibrentasvir ha prodotto tassi elevati di risposta virologica sostenuta al post-trattamento alla settimana 12 (SVR12) ed è stato ben tollerato e con un profilo di sicurezza favorevole in un’ampia gamma di pazienti con infezione cronica da HCV. È importante, tuttavia, valutare i trattamenti per il virus dell’epatite C (HCV) nel mondo reale, poiché le popolazioni di pazienti tendono ad essere più diversificate e potenzialmente meno aderenti al trattamento rispetto a quelle negli studi clinici.

Per molti regimi DAA, è già stata confermata un’efficacia simile in contesti reali a quella osservata negli studi clinici. Tuttavia, poiché glecaprevir / pibrentasvir è stato approvato per il trattamento di pazienti con HCV cronico nell’ultima parte del 2017, i dati pubblicati sul suo utilizzo nella pratica clinica sono attualmente limitati a un piccolo numero di coorti del mondo reale. Inoltre, attualmente mancano analisi di contesti distinti e un’analisi più ampia che combini contesti e paesi diversi.

Per risolvere questo problema, è stata intrapresa una revisione sistematica e una meta-analisi dei dati disponibili nel mondo reale che riportano l’efficacia e / o la sicurezza di glecaprevir / pibrentasvir per il trattamento di adulti con infezione cronica da HCV. I risultati di 18 studi condotti in real life identificati nelle pubblicazioni di riviste dal 1 ° gennaio 2017 al 25 febbraio 2019 e nelle presentazioni al congresso fino al 14 aprile 2019 sono stati raccolti e analizzati per indagare l’efficacia e la sicurezza di una combinazione antivirale ad azione diretta (glecaprevir / pibrentasvir) nella pratica clinica di routine.  Sono stati esclusi gli studi clinici, i casi clinici e gli studi che non hanno distinto i pazienti trattati con glecaprevir / pibrentasvir da altri pazienti, ed è stata condotta una meta-analisi random-effects degli outcomes per determinare i tassi di SVR12 utilizzando i dati d i≥ 2 coorti. 

Gli outcomes di efficacia erano il tasso complessivo di SVR12 nella popolazione ITT (cioè, tutti i pazienti trattati con almeno una dose di glecaprevir / pibrentasvir che avevano dati SVR12 disponibili, interrotti precocemente o persi al follow-up). Queste analisi sono state condotte anche nella popolazione ITT modificata (mITT) (cioè, la popolazione ITT esclusi i pazienti che non hanno raggiunto SVR12 per ragioni diverse dal fallimento virologico). Gli outcomes di sicurezza erano le percentuali di pazienti con eventi avversi (EA; qualsiasi grado), eventi avversi comuni, eventi avversi gravi (SAE), eventi avversi di particolare interesse (scompenso epatico o insufficienza epatica) e interruzione a causa di eventi avversi

Complessivamente, 12.531 adulti sono stati trattati con glecaprevir / pibrentasvir, per un totale di 18 coorti. Tra i pazienti con dati post-trattamento alla settimana 12, i tassi di SVR12 erano del 96,7% (95% CI 95,4-98,1) nella popolazione ITT (n = 8.583, 15 coorti) e del 98,1% (95% CI 97,1-99,2) nella popolazione mITT (n = 7.001, 14 coorti). I tassi di SVR12 erano> −95% nei sottogruppi (genotipo HCV, stato di cirrosi, storia del trattamento, durata del trattamento, trattamento su indicazione e sottogruppi di interesse). Gli eventi avversi sono stati riportati nel 17,7% (1.271 / 7.199) dei pazienti (8 coorti). Eventi avversi gravi sono stati riportati nell’1,0% (55 / 5.522) dei pazienti (6 coorti). Gli eventi avversi più frequenti sono stati prurito, affaticamento e mal di testa. Interruzioni del trattamento correlate a eventi avversi sono state riportate nello 0,6% (33 / 5.595) dei pazienti (6 coorti).

In conclusione, questa analisi ha mostrato che la combinazione glecaprevir / pibrentasvir è altamente efficace e ben tollerata in tutti i genotipi di HCV e nei gruppi di pazienti studiati, coerentemente con i risultati osservati negli studi clinici, anche nei pazienti storicamente considerati più difficili da trattare.

Bibliografia:

  1. Pietro Lampertico , Jose A Carrión , Michael Curry , Juan Turnes , Markus Cornberg , Francesco Negro, Ashley Brown, Marcello Persico, Nicole Wick, Ariel Porcalla, Andreas Pangerl, Eric Crown, Lois Larsen, Yao Yu, Heiner Wedemeyer , Real-world effectiveness and safety of glecaprevir/pibrentasvir for the treatment of patients with chronic HCV infection: A meta-analysis. J Hepatol. 2020 Jun;72(6):1112-1121. doi: 10.1016/j.jhep.2020.01.025

La valutazione della sicurezza dei vaccini per il COVID-19: metodologia.

I vaccini contro il COVID-19 sono in fase di sviluppo ad una velocità mai vista in precedenza. Ciò pone particolari sfide, che non hanno precedenti, ai sistemi di monitoraggio post-marketing dalla sicurezza. Inoltre, anche la comunicazione sulla sicurezza vaccinale dovrà essere gestita in modo appropriato.

Per impiegare velocemente tali nuovi vaccini in popolazioni diverse è essenziale disporre di un robusto sistema di farmacovigilanza e un sistema di sorveglianza attiva. Non tutti i paesi del mondo hanno la capacità o le risorse per mettere in atto un’adeguata sorveglianza e riceveranno i dati da coloro che invece possiedono tali sistemi.

Gli strumenti per valutare i vaccini per il COVID-19 esistono già e verranno impiegati così come attualmente viene fatto: si tratta dei sistemi di sorveglianza nazionale, dei dati provenienti da fonti amministrative e la definizione dei casi come eventi avversi di speciale interesse.

Tuttavia, tenere insieme tutti questi strumenti e usarli in modo efficace è una sfida che richiede investimenti e collaborazione tra tutti gli attori in gioco. Il presente articolo fornisce una panoramica di alto livello di tutte le sfaccettature della moderna metodologia di valutazione della sicurezza dei vaccini e fornisce indicazioni sul modo con cui questi metodi sono o possono essere applicati ai vaccini nei confronti del COVID-19.

Lo sviluppo di un potenziale candidato vaccino deve essere in primo luogo valutato negli animali per quanto riguarda la sicurezza, l’immunogenicità e l’efficacia. Le problematiche di sicurezza identificate in precedenza nei primi vaccini per la SARS non sono state finora osservate negli studi sull’uomo ma sottolineano l’importanza di scegliere degli approcci vaccinali e degli adiuvanti che producano le risposte desiderate. Le tre fasi di sviluppo clinico nell’uomo sono attentamente condotte in modo tale che solamente con la dimostrazione di risultati favorevoli in una fase è possibile passare a quella successiva. Inoltre, le sperimentazioni cliniche sono sottoposte ad un comitato di esperti indipendente.

Dal punto di vista regolatorio esiste dal 1999 un Comitato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la sicurezza dei vaccini (World Health Organization Global Advisory Committee on Vaccine Safety) così come un gruppo di esperti (Strategic Advisory Group of Experts) che riceve i risultati portati dall’altro comitato e formula le raccomandazioni.

La Brighton Collaboration è una collaborazione internazionale lanciata nel 1999 che ha come compito quello di sviluppare le definizioni e le linee guida per i potenziali eventi avversi successivi ad immunizzazione. Tali strumenti includono anche la definizione degli eventi avversi di speciale interesse, che devono essere rapidamente comunicati alle parti regolatorie.

Un ruolo fondamentale di tutela dei consumatori è svolto dalle Agenzie Regolatorie, tra cui l’americana Food and Drug Administration e l’Agenzia Europea del Farmaco. Inoltre, un compito centrale è assegnato ai sistemi nazionali di sorveglianza passiva che riportano in ultima istanza al WHO Pharmacovigilance Centre in Uppsala, Svezia. Esistono poi dei programmi di sorveglianza attiva e studi di fase IV che sono in grado di monitorare in tempo quasi reale la popolazione di interesse oltre che mappare l’esposizione ai vaccini.

Esistono numerose sfide in tal senso, per esempio il fatto che ad oggi ancora troppo pochi paesi del mondo possiedono dei sistemi di farmacovigilanza altamente funzionanti. Infine è necessario un forte supporto e una stretta collaborazione tra tutti gli attori implicati nella sfida di monitorare attivamente i vaccini contro il COVID-19

Bibliografia.

Petousis-Harris, H. Assessing the Safety of COVID-19 Vaccines: A Primer. Drug Saf (2020).

E’ possibile leggere l’articolo completo qui.

Esposizione intrauterina ai farmaci biologici, una revisione sistematica sulla sicurezza

Le malattie autoimmuni infiammatorie sono malattie croniche che spesso colpiscono le donne in età fertile. Pertanto, è importante una conoscenza dettagliata del profilo di sicurezza dei farmaci utilizzati per la gestione delle malattie autoimmuni infiammatorie durante la gravidanza. Tuttavia, in molti casi i potenziali effetti dannosi dei farmaci (soprattutto biologici) durante la gravidanza (e l’allattamento) su madre e bambino non sono stati completamente identificati.

Obiettivo: Lo scopo dello studio era aggiornare i dati sul verificarsi di aborti spontanei e malformazioni congenite (maggiori) quando si utilizzano farmaci biologici durante la gravidanza sulla base di articoli di recente pubblicazione. Inoltre, sono stati selezionati diversi endpoint secondari che potrebbero essere di interesse per i medici, in particolare le informazioni sugli eventi avversi nell’uso di uno specifico biologico durante la gravidanza.

Materiale e metodi: è stata condotta una ricerca dal 1 ° gennaio 2015 al 4 luglio 2019 in Embase.com, Medline Ovid, Web of Science, Cochrane CENTRAL e Google Scholar con termini di ricerca specifici per ciascun database. La selezione delle pubblicazioni era basata sul titolo / abstract e seguita dal testo completo (in doppio cieco, due ricercatori).

Risultati: sono state incluse 143 pubblicazioni in totale. Il numero totale di casi variava da 9 per Canakinumab a 4276 per Infliximab. Le percentuali di aborti spontanei e malformazioni congenite maggiori non hanno mostrato differenze rilevanti da quelle percentuali nella popolazione generale (stimate nello studio come 10–20% e 2–5.5% nella popolazione generale).

Conclusione: nonostante i limiti dello studio, non sono stati segnalati problemi di sicurezza importanti e non è stato possibile identificare alcuna tendenza nelle malformazioni riportate.

È probabile che adalimumab, certolizumab ed etanercept possano essere presumibilmente prescritti in modo sicuro durante la gravidanza, soprattutto considerando gli effetti negativi della malattia attiva sulle madri, gli esiti della gravidanza, e i bambini.

Per quanto riguarda infliximab, sono stati rilevati tassi elevati di infezioni nei bambini, principalmente da uno studio, ed è raccomandato un approccio più conservatore, in particolare una terapia di combinazione con le tiopurine.

L’interruzione prima del terzo trimestre può ridurre la possibilità di infezioni nella prole. Inoltre, i rischi dell’utilizzo di abatacept, anakinra, canakinumab, golimumab, rituximab, tocilizumab, ustekinumab e vedolizumab non sono ben conosciuti e i dati noti disponibili a riguardo sono scarsi. Questo studio conferma le precedenti revisioni della letteratura effettuate sull’ uso e la sicurezza dei farmaci biologici durante la gravidanza nelle malattie autoimmuni.

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Il ruolo dei media nella diffusione di fake news sui farmaci

American Society for Clinical Pharmacology and Therapeutics

I media rappresentano una strada potenzialmente efficace per diffondere l’educazione al benessere. Ad esempio, possono essere utilizzati per la gestione del rischio basata sulla comunità, inclusa la preparazione per eventi pandemici. Un sondaggio dell’Ufficio per la prevenzione e la promozione della salute del Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti ha rivelato che nessun singolo tipo di materiale cartaceo sulla salute era efficace quanto le fonti non stampate, comprese TV e radio. Sfortunatamente, non tutte le informazioni fornite dai media radiotelevisivi sono supportate da dati scientifici e, in alcuni casi, vengono fornite informazioni fuorvianti o non fattuali per rendere una particolare storia più attraente o per creare sensazione. Ad esempio, è pratica comune per i media presentare immagini incredibilmente drammatiche e distorte di malattie mentali che enfatizzano la pericolosità, la criminalità e l’imprevedibilità.  

D’altra parte, studi scientifici mal progettati o valutati possono contribuire alla diffusione di informazioni errate nei mass media, come evidenziato dalla visione pervasiva che i vaccini siano associati all’autismo, una convinzione che da allora è stata confutata molte volte. Con l’aumento del numero di spettacoli medici di fantasia in TV, questo problema ha assunto particolare rilevanza.  Molti drammi medici statunitensi e britannici vengono esportati e trasmessi in streaming in tutto il mondo e i consumatori stanno diventando sempre più consapevoli di farmaci specifici e dei loro usi. Per evitare errori nei drammi medici, è stato istituito nel 1994 il programma Hollywood, Health & Society, fornendo consulenza medica gratuita a sceneggiatori e produttori attraverso brevi fatti e suggerimenti. Tuttavia, non sono incluse informazioni specifiche su indicazioni, dosaggi o punti di forza dei farmaci, che portano a raccomandazioni incomplete e forse errate presentate agli spettatori. 

Per valutare se le informazioni potenzialmente influenti fornite attraverso i media sono accurate, è stata analizzata l’accuratezza delle prescrizioni di farmaci mostrati in spettacoli televisivi fittizi a tema medico trasmessi tra il 1989 e il 2014. Di tutte queste, l’88,1% è stato considerata accurata, con la dose errata come motivo più comune di inesattezza, (44,6% degli errori), seguito da un’indicazione inappropriata (43%). Di recente, un team di ricercatori australiani ha esplorato ulteriormente questo argomento. Dopo aver studiato una serie di episodi casuali dei famosi drammi medici, tra cui dr. House, Grey’s Anatomy, Royal Pains, Doc Martin e Nurse Jackie per l’appropriatezza dei loro consigli sui farmaci, sono state rivelate alcune statistiche interessanti. Sebbene l’indicazione del farmaco fosse corretta nel 71% delle volte per tutti gli spettacoli combinati, l’aderenza alle linee guida basate sull’evidenza era generalmente scarsa, con differenze interessanti tra i diversi programmi TV, omettendo spesso importanti controlli di sicurezza, come la conferma dello stato di allergia ai farmaci e il corretto dosaggio del farmaco; in particolare, Doc Martin e Dr. House hanno dimostrato una migliore aderenza alle linee guida cliniche (41% e 40%, rispettivamente) rispetto a Grey’s Anatomy (25%). 

Anche per quanto riguarda i media online, l’analisi di più di 300 video su Youtube ha rivelato che per la maggior parte dei farmaci i contenuti spesso non riflettono adeguatamente ciò che si sa sulla sicurezza del loro uso.

In conclusione , sebbene nei film e nei drammi televisivi prodotti esclusivamente a scopo di intrattenimento possa non essere richiesto di presentare informazioni accurate, molte persone utilizzano le informazioni presentate nei media per prendere decisioni sulla propria salute; pertanto occorre maturare  negli spettatori la consapevolezza che le informazioni mediche e farmaceutiche fornite nei programmi TV potrebbero non essere esatte o pertinenti alla loro situazione personale e dovrebbero essere interpretate con cautela, invitandoli, tramite i loro medici, a confermare qualsiasi informazione sui farmaci in TV utilizzando pubblicazioni, siti Web e professionisti sanitari affidabili.  D’altra parte, vista l’entità del problema, si suggerisce una maggiore partecipazione dei professionisti sanitari più qualificati nello spazio dei media, il che impone la necessità di sviluppo da parte delle associazioni mediche professionali e degli organismi di regolamentazione di linee guida e codici di condotta per tutti i contenuti dei media.

Bibliografia: 1. Jackson Thomas, Gregory M. Peterson, Erin Walker, Julia K. Christenson, Melissa Cowley, Sam Kosari, Kavya E. Baby and Mark Naunton,  Fake News: Medicines Misinformation by the Media. CLINICAL PHARMACOLOGY & THERAPEUTICS 2018 Dec;104(6):1059-1061. doi: 10.1002/cpt.1199

Associazione tra la somministrazione di corticosteroidi sistemici e mortalità nei pazienti critici malati di COVID-19.

Journal of American Medical Association

Il gruppo di lavoro WHO Rapid Evidence Appraisal for COVID-19 Therapies (REACT) ha appena pubblicato una meta-analisi su JAMA in cui si dimostra un risultato importante per la lotta alla malattia da coronavirus 2019 (COVID-19): la somministrazione di corticosteroidi sistemici, paragonata alla terapia standard o al placebo, è risultata associata con una minore mortalità per tutte le cause a 28 giorni nei pazienti critici affetti da COVID-19.

Dieci anni di vaccinovigilanza in Italia: uno sguardo sui dati di farmacovigilanza dal 2008 al 2017

Un gruppo di ricercatori italiani afferenti all’Università di Verona in collaborazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco ha utilizzato il Sistema Italiano di Farmacovigilanza per analizzare le reazioni avverse ai vaccini riportate in un periodo di 10 anni (2008 – 2017).

 

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