AIFA pubblica il Rapporto Vaccini 2019

L’Agenzia Italiana del Farmaco ha pubblicato il Rapporto Vaccini 2019 che descrive le attività di vaccinovigilanza condotte in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e il Gruppo di Lavoro per la Vaccinovigilanza.

Le attività di vaccinovigilanza comprendono il monitoraggio e la valutazione delle segnalazioni di sospette reazioni avverse ai vaccini, compresa l’analisi riguardante il nesso di causalità. Le segnalazioni possono provenire in modo spontaneo da qualunque operatore sanitario o da cittadino. Inoltre le segnalazioni possono essere stimolate da progetti di farmacovigilanza attiva condotti nelle strutture sanitarie. Tutte le segnalazioni raccolte vengono registrate nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza.

Nell’immagine vengono riassunti i principali risultati della vaccinovigilanza per il 2019.

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Qui è possibile scaricare il documento completo.

Esketamina: una revisione sui dati di efficacia e sicurezza.

L’Esketamina è l’enantiomero S della ketamina racemica. Si tratta di un antagonista non selettivo e non competitivo del recettore N-metil-D-aspartato (NMDA), un recettore ionotropico glutammatergico. L’esketamina è stata approvata per l’uso nella “depressione resistente al trattamento” (definizione che comprende quei pazienti che non hanno risposto a due diversi trattamenti antidepressivi) negli Stati Uniti, in Europa e nel Regno Unito nel 2019. Una notizia che da alcuni è stata accolta con cautela, mentre altri ne hanno elogiato il nuovo impiego. D’altra parte, il National Institute for Health del Regno Unito e Care Excellence (NICE) ha pubblicato una bozza di linee guida nel gennaio 2020 raccomandando di non utilizzare l’esketamina per la depressione resistente al trattamento a causa della mancanza di prove di efficacia clinica e in termini di costi. Per questo è stata condotta una revisione sulle prove di efficacia e di sicurezza dell’esketamina negli studi presentati alla Food and Drug Administration (FDA) e ad altre agenzie regolatorie.

Complessivamente cinque studi sono stati presentati dall’azienda farmaceutica Janssen alla FDA per chiedere l’approvazione dell’esketamina come trattamento aggiuntivo per la ” depressione resistente alle terapie “: tre studi di efficacia, ciascuno della durata di 4 settimane, un discontinuation trial e uno studio di sicurezza della durata di 60 settimane.

La FDA normalmente richiede due trials di efficacia positiva per concedere in licenza un farmaco, “ciascuno convincente da solo”. Tuttavia, l’esketamina non ha soddisfatto nemmeno questo standard. Dei tre studi a breve termine condotti da Janssen solo uno ha mostrato una differenza statisticamente significativa tra esketamina e placebo. Questo studio ha rilevato una differenza di 4 punti sulla Montgomery – Åsberg Depression Rating Scale (MADRS) – che va da 0 a 60- favore dell’esketamina rispetto al placebo; tuttavia è stato riscontrato che una differenza di 4 punti corrisponde a un cambiamento inferiore al “minimo” sulla scala Clinical Global Impression (CGI) ed è un quarto della dimensione della risposta al placebo, suggerendo una dubbia rilevanza clinica.

Poiché la Janssen non è stata in grado di fornire due studi di efficacia positivi, la FDA ha allentato le sue regole e ha consentito un discontinuation trial per fornire prove di efficacia. Questo studio ha assegnato in modo casuale i pazienti che hanno dimostrato una “ remissione stabile ” dopo un trattamento con esketamina di 16 settimane (un gruppo altamente selezionato dei partecipanti) per continuare o interrompere l’esketamina e misurare la successiva ricaduta.

Questo disegno di studio ha rilevato notevoli problemi, in primis perché gli effetti di astinenza dal farmaco (da tempo noti) possono essere scambiati per ricaduta della depressione; in secondo luogo il fatto che lo studio non sia stato condotto in cieco; in terzo luogo la presenza di risultati definiti come “non robusti” a supporto di questo studio.  Infine, alcuni autori hanno sostenuto che siano stati minimizzati i segnali sulla sicurezza ­– decessi (inclusi i suicidi), eventi avversi quali dissociazione, vertigini, aumento della pressione sanguigna, ipoestesia, nausea e sedazione, e segni di irritazione della vescica, quali infezioni del tratto urinario, dolore, disagio, cistite e nicturia -.

Poiché storicamente non era infrequente che un noto farmaco di uso improprio, associato a danni significativi, venisse sempre più promosso nonostante le scarse prove di efficacia e senza adeguati studi di sicurezza a lungo termine, gli autori concludono augurandosi che non si ripetano gli stessi errori del passato, e che vengano richiesti ulteriori studi di efficacia, che si presti adeguata attenzione ai danni dell’esketamina, e vengano richiesti dati di efficacia a lungo termine e solidi studi di sicurezza.

Bibliografia

  1. Mark A. Horowitz and Joanna Moncrieff, Are we repeating mistakes of the past? A review of the evidence for esketamine. Br J Psychiatry. 2020 May 27;1-4. doi: 10.1192/bjp.2020.89

Raccomandazioni del Pharmacovigilance Risk Assessment Committee (PRAC) dell’EMA per il mese di novembre.

Durante la riunione che si è svolta tra il 23 e il 26 novembre 2020 sono stati valutati i segnali di sicurezza periodici dei farmaci. Il comitato ha raccomandato un aggiornamento delle informazioni dei prodotti per tutti i medicinali che contengono clorochina e idrossiclorochina. In seguito alla revisione di tutti i dati disponibili è stato confermato un legame tra l’uso di questi farmaci e il rischio di disturbi psichiatrici e comportamento suicida.

Tale revisione è stata iniziata nel maggio 2020 dopo che l’EMA era stata informata dall’agenzia spagnola per i medicinali (AEMPS) del verificarsi di 6 casi di disturbi psichiatrici in pazienti con COVID-19 a cui era stata data una dose di idrossiclorochina più alta di quella autorizzata.

La clorochina e l’idrossiclorochina sono autorizzati nell’Unione Europea per il trattamento di alcune malattie autoimmuni quali artrite reumatoide e lupus, così come per la profilassi ed il trattamento della malaria. Tali farmaci non sono autorizzati per il trattamento del COVID-19 ma entrambi sono stati utilizzati al di fuori dell’indicazione terapeutica (uso off-label) per la terapia della malattia. In ogni caso sia la clorochina che l’idrossiclorochina non hanno dimostrato nessun effetto benefico nel trattamento della malattia da COVID-19 in ampi studi clinici randomizzati.

In considerazione dell’uso di tali farmaci durante la pandemia, l’EMA ne ha ricordato i rischi ai professionisti sanitari in primavera. In ogni caso è già noto che la clorochina e l’idrossiclorochina, persino alle dosi approvate per le indicazioni autorizzate possano causare un ampio spettro di disturbi psichiatrici. Infatti, nel riassunto delle caratteristiche del prodotto delle specialità medicinali che contengono clorochina o idrossiclorochina sono indicati disturbi psichiatrici e comportamenti suicidi come effetti avversi rari o con frequenza sconosciuta.

La revisione ha confermato che i disturbi psichiatrici si sono verificati e possono essere talvolta gravi, in pazienti sia con precedenti problemi mentali che senza precedenti anamnestici. Sulla base dei dati disponibili la revisione ha mostrato che per quanto riguarda l’idrossiclorochina, gli effetti avversi possono verificarsi nel primo mese dopo l’inizio del trattamento. Per la clorochina non c’erano dati a sufficienza per stabilire un chiaro tempo d’insorgenza.

Il PRAC raccomanda di aggiornare le schede informative per questi medicinali per fornire migliori informazioni ai professionisti sanitari e ai pazienti dei rischi di comportamenti suicidari e disturbi psichiatrici.

I pazienti che utilizzano clorochina e idrossiclorochina che sperimentano disturbi mentali (per esempio pensieri irrazionali, ansia, allucinazioni, confusione mentale o umore depresso, inclusi pensieri autolesivi o autosoppressivi) o di altro genere correlati ad essi dovrebbero contattare tempestivamente il proprio medico di fiducia.

E’ possibile leggere la notizia originale sul sito dell’EMA, cliccando qui.

Impurità di nitrosamina in sartani, ranitidina, nizatidina e metformina: aggiornamenti normativi e metodologie analitiche per il rilevamento

Recentemente sono state rilevate impurità di nitrosamina in vari prodotti farmaceutici. Vari sartani, ranitidina, nizatidina e metformina sono stati ritirati dai mercati a causa dell’alto livello di impurità della nitrosamina. Una revisione pubblicata su Critical Reviews in Analytical Chemistry fornisce una breve panoramica sulle impurità nitrosamina: i metodi di rilevamento in dettaglio, il meccanismo d’azione, le tecniche di preparazione del campione e i limiti normativi.

Per essere commercializzati, i principi attivi farmaceutici devono contenere meno dello 0,05% di impurità. Le impurità di nitrosamine si possono trovare in tracce in numerosi prodotti finiti, anche nei prodotti alimentari. Diverse autorità regolatorie, come Central Drugs Standard Control Organization (CDSCO), United States Food and Drug Administration (USFDA), e l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) monitorano le impurità più comuni e ne fissano il limite massimo, basandosi sui livelli di tossicità.

Recentemente, diverse Agenzie regolatorie in tutto il mondo hanno confermato la presenza di impurità di nitrosamina (come la nitroso dimetilamina NDMA) in alcuni farmaci a base di ranitidina, metformina, nizatidina. Inoltre, è emerso che la maggior parte delle nitrosamine sono tossiche e cancerogene e si trovano naturalmente nel cibo, nell’acqua potabile e nel fumo.

È stata rilevata la presenza di impurità sopra i livelli consentiti in diversi prodotti finiti. La nitrosodimetilamina (NDMA) e la nitrosodietilamina (NDEA) si trovano in diversi farmaci a base di sartani, ranitidina, metformina, nizatidina.

Metodi analitici per identificare e quantificare le impurità di nitrosamine.

Per separare proteine/farmaci dalle impurità, la cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC) può essere una tecnica efficace e versatile, basata sulla separazione dei soluti in due fasi.

Altre tecniche per l’identificazione e la quantificazione delle nitrosamine sono: la cromatografia liquida associata alla spettrometria di massa LC/MS, che separa le componenti da una miscela complessa e le quantifica con lo spettrometro di massa; e la gascromatografia associata alla spettrometria di massa GC/MS.

Meccanismo di formazione delle nitrosamine nella ranitidina e meccanismo di azione delle nitrosamine.

L’origine delle nitrosamine può essere esogena o/e endogena. La via endogena è la predominante. Le nitrosamine si possono formare in diversi organi umani: nello stomaco, con la nitrosazione favorita dal pH acido, nel fegato e nelle urine. Un altro percorso importante è dove la nitrosazione catalizzata biologicamente introduce impurità di nitrosamine in distretti corporei come: intestino, vescica, cavità orale, sangue e altri tessuti periferici. La nitrosazione catalizzata produce una serie di metaboliti attivi: nitroso tioli, ferro nitrosili, nitrosamine.

Sono due le reazioni della ranitidina che portano alla formazione di nitrosodimetilamina (NDMA): il trasferimento di cloro, attraverso una sostituzione nucleofila, dalla monoclorammina alla ranitidina, e la sostituzione elettrofila sulla porzione amminica della ranitidina.

Le nitrosamine sono in grado di reagire con numerose macromolecole cellulari e con il DNA. Da questa interazione si formano prodotti di addizione (alchilazione) in vari siti specifici del DNA. Il sito e la relativa percentuale di alchilazione del DNA varia a seconda della molecola e del tipo di agente alchilante (nistrosammine, nitrosammidi, nitrosamidine).

Linee guida regolatorie.

Le agenzie regolatorie Central Drugs Standard Control Organization (CDSCO), United States Food and Drug Administration (USFDA), e l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), hanno stabilito il limite di esposizione giornaliera di 96ng/die per nitrosodimetilamina (NDMA) e acido nitrosometilaminobutirrico (NMBA), e di 25ng/die per nitrosodietilamina (NDEA). Il limite accettabile per NDMA e NMBA nei diversi farmaci ha un range di 0,3- 1,2 ppm (per valsartan 0,3 ppm). Per NDEA il range è tra 0,083 e 0,66 ppm tra i vari farmaci (per valsartan 0,083).

Le nitrosamine sono molecole polari, idrofiliche, neutre, con alta pressione di vapore, e un’altissima solubilità in acqua. Diversi studi si sono occupati delle tecniche di rimozione delle nitrosamine e in particolare della NDMA. La tecnica più efficace si è rivelata la fotolisi atmosferica tramite l’irradiazione di raggi UV. La tecnica più fruttuosa per eliminare le nitrosamine è l’osmosi inversa, con la quale anche il precursore delle nitrosamine (NDMA) può essere efficacemente eliminato.

Tecniche di separazione delle impurità di nitrosamine.

Nell’articolo sono descritti i diversi metodi di separazione delle nitrosamine: estrazione su fase solida (SPE), estrazione liquido-liquido (LLE), estrazione liquida diretta (DLE), distillazione, estrazione accelerata da solvente (ASE) o estrazione con acqua calda, estrazione con fluidi supercritici. Le più utilizzate sono l’estrazione su fase solida, l’estrazione liquido-liquido e la distillazione.

Conclusioni

Le nitrosamine sono impurità genotossiche e a causa della loro cancerogenicità, rappresentano una minaccia allarmante per tutti gli esseri viventi. Per alleviare questo problema globale, le agenzie regolatorie si sono impegnate nella determinazione quantitativa delle impurità di nitrosamine presenti negli alimenti e in vari intermedi nella sintesi organica. Tuttavia, esplorare tecniche e metodi innovativi per una stima precisa delle impurità di nitrosamine in vari prodotti farmaceutici è un compito impegnativo per ricercatori e industriali. Il problema principale è il loro basso peso molecolare e l’alta idrofilia.

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Ototossicità come reazione avversa a farmaci: un’analisi del segnale basata sui dati italiani.

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Introduzione.

Il panorama dell’ototossicità indotta da farmaci si è ampliato negli ultimi decenni. In più, i dati di sorveglianza post-marketing sono necessari per ottenere un più ampio sguardo sulle reazioni avverse di ototossicità. Lo scopo di questo studio era di condurre un’analisi delle segnalazioni di reazione avverse a farmaco (ADR) provenienti dal sistema italiano di segnalazione spontanea descrivendo l’ototossicità farmaco-indotta.

Metodi.

Come misura di disproporzionalità è stato calcolato il reporting odds ratios (RORs) e il rispettivo intervallo di confidenza al 95% (CI) con una metodologia caso/non caso. I casi erano tutte le schede di segnalazione di sospette ADR che riguardavano l’ototossicità farmaco-indotta raccolte nella rete di sorveglianza spontanea italiana tra il 2001 e il 2017. I non-casi includevano tutte le altre ADR segnalate nello stesso periodo.

Risultati.

Su un totale di 325,980 segnalazioni, 652 includevano almeno un’ADR di ototossicità, confrontate con 325,328 non-casi. ROR statisticamente significativi sono stati trovati per farmaci dell’apparato cardiovascolare, urologici, teriparatide, amikacina, prulifloxacina, rifampicina, isoniazide, cisplatino, antagonisti ormonali, tacrolimus, pomalidomide, tramadolo, e antidepressivi.

ROR significativi in relazioni al tinnito sono stati osservati per doxazosina (ROR 5.55, 95% CI 2.06–14.93), bisoprololo (4.28, 1.59–11.53), nebivololo (8.06, 3.32–19.56), ramipril (3.96, 2.17–7.23), irbesartan (19.60, 9.19–41.80), betametasone (4.01, 1.28–12.52), moxifloxacina (4.56, 1.71–12.34), etambutolo (12.25, 3.89–38.57), efavirenz (16.82, 5.34–52.96), sofosbuvir/ledipasvir (5.95, 1.90–18.61), etoposide (7.09, 2.63–19.12), abatacept (6.51, 2.42–17.53), indometacina (6.30, 2.02–19.72), etoricoxib (5.00, 2.23–11.23), tapentadolo (4.37, 1.09–17.62), e combinazioni di timololo (23.29, 9.53–56.95).

In aggiunta, ROR significative per l’ipoacusia riguardavano claritromicina (3.95, 1.86–8.40), azitromicina (10.23, 5.03–20.79), vancomicina (6.72, 2.14–21.11), methotrexate (3.13, 1.00–9.81), pemetrexed (4.38, 1.40–13.76), vincristina (5.93, 1.88–18.70), vinorelbina (21.60, 8.83–52.82), paclitaxel (2.34, 1.03–5.30), rituximab (3.20, 1.19–8.63), interferon alfa-2b (17.44, 8.56–35.53), talidomide (16.92, 6.92–41.38), e deferasirox (41.06, 20.07–84.01).

Conclusioni.

 Questo studio è ampiamente concordante con i dati presenti in letteratura. Nonostante ciò, sono stati rinvenuti farmaci che non erano noti per essere ototossici, in particolare propafenone, antitubercolari, antagonisti ormonali, teriparatide, tramadolo e pomalidomide. Inoltre, l’ipoacusia in seguito all’uso di vinorelbine, methotrexate, e pemetrexed era inaspettata. Allo stesso modo il tinnito correlato con etoposide, nebivololo, betametasone, abatacept, sofosbuvir/ledipasvir, e tapentadolo, ma tali associazioni richiedono ulteriori analisi per definirne meglio il rischio a causa della scarsità dei dati.

Infine, i medici dovrebbero essere maggiormente consapevoli della significatività clinica dell’ototossicità e della necessità del loro contributo per la segnalazione spontanea.

Bibliografia.

Barbieri MA et al., Ototoxic Adverse Drug Reactions: A Disproportionality Analysis Using the Italian Spontaneous Reporting Database. Frontiers in Pharmacology, 10, 2019; 1161. E’ possibile leggere liberamente l’articolo qui.

Valutazione della sicurezza cardiovascolare dei farmaci anti-osteoporosi

L’osteoporosi è caratterizzata da una riduzione della densità minerale ossea e da un aumento del rischio di fratture. Come per le malattie cardiovascolari, la prevalenza aumenta in età avanzata, cosicché l’osteoporosi e le malattie cardiovascolari (e i fattori di rischio cardiovascolare) spesso coesistono nello stesso paziente. È quindi molto importante comprendere le implicazioni cardiovascolari dei farmaci per l’osteoporosi. Una recensione narrativa pubblicata su Drugs le ha presentate con un gruppo di lavoro di esperti provenienti dalla European Society for Clinical and Economic Aspects of Osteoporosis, Osteoarthritis and Musculoskeletal Disorders (ESCEO) e dalla International Osteoporosis Foundation (IOF).

Un consumo inadeguato di calcio è associato a un aumentato rischio di fratture da fragilità e deterioramento della densità minerale ossea. Spesso per questo motivo vengono utilizzati integratori di calcio. Tuttavia, la supplementazione di calcio potrebbe indurre la formazione di ateroma attraverso la deposizione di calcio. In questa recensione sono stati analizzati 15 studi, ed è stato osservato un rischio significativamente aumentato di infarto del miocardio, ma questo dato non è stato replicato. Per concludere, gli integratori di calcio e l’assunzione orale di calcio di 1000 mg al giorno sembrano ridurre il rischio di fratture, in particolare negli individui istituzionalizzati rispetto a quelli che vivono in comunità, ma non ci sono prove di eventi avversi cardiovascolari. Vi è incertezza riguardo al rischio cardiovascolare di un’elevata assunzione giornaliera di calcio.

Gli effetti cardiovascolari dell’integrazione di vitamina D è stata ampiamente studiata. Nel sistema cardiovascolare, la vitamina D ha effetti sulla parete vascolare, sul sistema renina-angiotensina e sul muscolo cardiaco. Nel contesto dell’osteoporosi, le attuali linee guida raccomandano la sostituzione della vitamina D di 800 unità internazionali (UI) al giorno nelle donne in postmenopausa a maggior rischio di fratture da fragilità ossea, quelle a maggior rischio di carenza di vitamina D e quelle sintomatiche di bassa vitamina D.

Nonostante i risultati all’inizio del 21 ° secolo che la terapia ormonale sostitutiva fosse associata a malattia coronarica e tromboembolia venosa (TEV), questa terapia è ora considerata potenzialmente sicura (dal punto di vista cardiaco) se iniziata entro i primi 10 anni dalla menopausa.

Il rapporto rischio / beneficio per la terapia ormonale sostitutiva in menopausa è più favorevole nelle donne più giovani, in menopausa recente (quelle che hanno meno di 60 anni o entro 10 anni dall’inizio della menopausa), relativamente ai i sintomi menopausali , basso rischio di cancro al seno, eventi cardiovascolari e cerebrovascolari e malattia tromboembolica venosa. Gli effetti positivi di questa terapia sulla salute ossea sono da considerarsi un ulteriore e gradito beneficio.

I modulatori selettivi del recettore degli estrogeni (SERM) sono associati ad un aumentato rischio di TEV e possono essere correlati a ictus fatali (un sottoinsieme degli ictus totali). 

I bifosfonati potrebbero teoricamente fornire protezione contro l’ateroma. Tuttavia, i dati provenienti da studi randomizzati e studi osservazionali non hanno supportato in modo sostanziale ciò né dimostrato in modo coerente la potenziale associazione con la fibrillazione atriale.

Denosumab, anticorpo monoclonale completamente umano e inibitore dell’attivatore del recettore del ligando del fattore nucleare κB, impedisce la maturazione e l’attività degli osteoclasti e quindi agisce per ridurre il riassorbimento osseo. Questo farmaco non sembra essere associato a malattie cardiovascolari e, sebbene gli analoghi dell’ormone paratiroideo siano associati a palpitazioni e vertigini, non è stata dimostrata alcuna associazione con una patologia cardiovascolare definita.

Romosozumab è un anticorpo monoclonale umanizzato, approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) e dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA), che inibisce la sclerostina. Romosozumab agisce come un agente anabolizzante per la formazione dell’osso e come un inibitore del riassorbimento osseo. Esiste una controversia per quanto riguarda la sicurezza cardiovascolare di questo farmaco. Le attuali linee guida (in alcune regioni) sconsigliano l’uso in quelli con una storia di IM e ictus ischemico e raccomanda un approccio giudizioso in quelli con un alto rischio di base di malattie cardiovascolari.

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Efficacia e sicurezza di glecaprevir / pibrentasvir per il trattamento di pazienti con infezione cronica da HCV: una meta-analisi.

Glecaprevir / pibrentasvir è un regime farmacologico antivirale pangenotipico ad azione diretta (DAA), recentemente approvato per il trattamento di adulti con infezione da genotipi 1–6 di HCV. Negli studi clinici multinazionali di fase II e III, il trattamento con glecaprevir / pibrentasvir ha prodotto tassi elevati di risposta virologica sostenuta al post-trattamento alla settimana 12 (SVR12) ed è stato ben tollerato e con un profilo di sicurezza favorevole in un’ampia gamma di pazienti con infezione cronica da HCV. È importante, tuttavia, valutare i trattamenti per il virus dell’epatite C (HCV) nel mondo reale, poiché le popolazioni di pazienti tendono ad essere più diversificate e potenzialmente meno aderenti al trattamento rispetto a quelle negli studi clinici.

Per molti regimi DAA, è già stata confermata un’efficacia simile in contesti reali a quella osservata negli studi clinici. Tuttavia, poiché glecaprevir / pibrentasvir è stato approvato per il trattamento di pazienti con HCV cronico nell’ultima parte del 2017, i dati pubblicati sul suo utilizzo nella pratica clinica sono attualmente limitati a un piccolo numero di coorti del mondo reale. Inoltre, attualmente mancano analisi di contesti distinti e un’analisi più ampia che combini contesti e paesi diversi.

Per risolvere questo problema, è stata intrapresa una revisione sistematica e una meta-analisi dei dati disponibili nel mondo reale che riportano l’efficacia e / o la sicurezza di glecaprevir / pibrentasvir per il trattamento di adulti con infezione cronica da HCV. I risultati di 18 studi condotti in real life identificati nelle pubblicazioni di riviste dal 1 ° gennaio 2017 al 25 febbraio 2019 e nelle presentazioni al congresso fino al 14 aprile 2019 sono stati raccolti e analizzati per indagare l’efficacia e la sicurezza di una combinazione antivirale ad azione diretta (glecaprevir / pibrentasvir) nella pratica clinica di routine.  Sono stati esclusi gli studi clinici, i casi clinici e gli studi che non hanno distinto i pazienti trattati con glecaprevir / pibrentasvir da altri pazienti, ed è stata condotta una meta-analisi random-effects degli outcomes per determinare i tassi di SVR12 utilizzando i dati d i≥ 2 coorti. 

Gli outcomes di efficacia erano il tasso complessivo di SVR12 nella popolazione ITT (cioè, tutti i pazienti trattati con almeno una dose di glecaprevir / pibrentasvir che avevano dati SVR12 disponibili, interrotti precocemente o persi al follow-up). Queste analisi sono state condotte anche nella popolazione ITT modificata (mITT) (cioè, la popolazione ITT esclusi i pazienti che non hanno raggiunto SVR12 per ragioni diverse dal fallimento virologico). Gli outcomes di sicurezza erano le percentuali di pazienti con eventi avversi (EA; qualsiasi grado), eventi avversi comuni, eventi avversi gravi (SAE), eventi avversi di particolare interesse (scompenso epatico o insufficienza epatica) e interruzione a causa di eventi avversi

Complessivamente, 12.531 adulti sono stati trattati con glecaprevir / pibrentasvir, per un totale di 18 coorti. Tra i pazienti con dati post-trattamento alla settimana 12, i tassi di SVR12 erano del 96,7% (95% CI 95,4-98,1) nella popolazione ITT (n = 8.583, 15 coorti) e del 98,1% (95% CI 97,1-99,2) nella popolazione mITT (n = 7.001, 14 coorti). I tassi di SVR12 erano> −95% nei sottogruppi (genotipo HCV, stato di cirrosi, storia del trattamento, durata del trattamento, trattamento su indicazione e sottogruppi di interesse). Gli eventi avversi sono stati riportati nel 17,7% (1.271 / 7.199) dei pazienti (8 coorti). Eventi avversi gravi sono stati riportati nell’1,0% (55 / 5.522) dei pazienti (6 coorti). Gli eventi avversi più frequenti sono stati prurito, affaticamento e mal di testa. Interruzioni del trattamento correlate a eventi avversi sono state riportate nello 0,6% (33 / 5.595) dei pazienti (6 coorti).

In conclusione, questa analisi ha mostrato che la combinazione glecaprevir / pibrentasvir è altamente efficace e ben tollerata in tutti i genotipi di HCV e nei gruppi di pazienti studiati, coerentemente con i risultati osservati negli studi clinici, anche nei pazienti storicamente considerati più difficili da trattare.

Bibliografia:

  1. Pietro Lampertico , Jose A Carrión , Michael Curry , Juan Turnes , Markus Cornberg , Francesco Negro, Ashley Brown, Marcello Persico, Nicole Wick, Ariel Porcalla, Andreas Pangerl, Eric Crown, Lois Larsen, Yao Yu, Heiner Wedemeyer , Real-world effectiveness and safety of glecaprevir/pibrentasvir for the treatment of patients with chronic HCV infection: A meta-analysis. J Hepatol. 2020 Jun;72(6):1112-1121. doi: 10.1016/j.jhep.2020.01.025

Interazioni farmaco-farmaco tra anticoagulanti orali diretti e agenti antivirali ad azione diretta dell’epatite C, una revisione sistematica.

Gli anticoagulanti orali diretti (DOAC), come substrati del citocromo P450 (CYP) 3A4 e / o della P-glicoproteina, sono suscettibili alle interazioni farmaco-farmaco (DDI). Gli agenti antivirali ad azione diretta (DAA) dell’epatite C (HCV), tramite l’inibizione della glicoproteina P o del CYP3A4, possono aumentare l’esposizione a DOAC con un rilevante rischio di sanguinamento.

In questo studio è stata eseguita una revisione sistematica sui DDI tra DOAC e DAA.

Due revisori hanno identificato in modo indipendente gli studi tramite database elettronici, fino al 7 luglio 2020, integrando la ricerca esaminando gli abstract del congresso EASL (Associazione europea per gli studi sul fegato) e il sito Web ClinicalTrials.gov.

Sono stati identificati 1385 riferimenti attraverso una ricerca sistematica nel database. Dopo aver applicato i criteri di inclusione, tre studi erano eleggibili per l’inclusione. Un ulteriore studio è stato identificato attraverso la ricerca manuale degli abstract del congresso EASL.

Tre studi clinici di fase I su volontari sani hanno valutato le interazioni tra dabigatran e glecaprevir/pibrentasvir, odalasvir/simeprevir o sofosbuvir/velpatasvir/voxilaprevir, mostrando un aumento dell’area sotto la curva concentrazione-tempo (AUC) di dabigatran del 138%, 103% e 161%, rispettivamente.

Nel complesso, la scarsità di dati richiede urgentemente studi dedicati nel mondo reale per verificare l’effettiva rilevanza clinica delle interazioni farmacocinetiche con dabigatran e indagare il rischio reale negli utilizzatori di farmaci anti-fattore Xa, sia in termini di rischio di sanguinamento che di insorgenza di danno al fegato. Infatti, sia rivaroxaban che apixaban sono substrati di P-gp e BCRP, mentre il substrato attivo di edoxaban è anche un substrato di OATP1B1, rendendo così altamente probabili interazioni farmacologiche clinicamente importanti.

I nuovi farmaci orali per l’epatite C sono esempi in cui l’interpretazione di una potenziale interazione può essere particolarmente complessa a causa di più farmaci con diversi profili farmacocinetici somministrati contemporaneamente.

Conclusioni

DOAC e DAA sono sotto-studiati per il rischio di DDI. Sono necessari studi sul mondo reale per valutare la rilevanza clinica delle interazioni farmacocinetiche con dabigatran e descrivere l’effettivo spettro di possibili interazioni farmacologiche tra DAA e altri DOAC.

Questa è la prima revisione sistematica che valuta le prove sulle interazioni tra anticoagulanti orali diretti / agenti antivirali ad azione diretta (DOAC / DAA).

I DAA aumentano la concentrazione di dabigatran, mentre non erano disponibili studi per altri DOAC.

Sono necessari studi nel mondo reale per valutare la rilevanza clinica di questa interazione e per descrivere l’effettivo spettro di possibili interazioni farmacologiche tra agenti ad azione antivirale diretta e altri anticoagulanti orali diretti.

Bellesini, M., Bianchin, M., Corradi, C. et al. Drug–Drug Interactions between Direct Oral Anticoagulants and Hepatitis C Direct-Acting Antiviral Agents: Looking for Evidence Through a Systematic Review
Clin Drug Investig (2020). https://doi.org/10.1007/s40261-020-00962-y

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La valutazione della sicurezza dei vaccini per il COVID-19: metodologia.

I vaccini contro il COVID-19 sono in fase di sviluppo ad una velocità mai vista in precedenza. Ciò pone particolari sfide, che non hanno precedenti, ai sistemi di monitoraggio post-marketing dalla sicurezza. Inoltre, anche la comunicazione sulla sicurezza vaccinale dovrà essere gestita in modo appropriato.

Per impiegare velocemente tali nuovi vaccini in popolazioni diverse è essenziale disporre di un robusto sistema di farmacovigilanza e un sistema di sorveglianza attiva. Non tutti i paesi del mondo hanno la capacità o le risorse per mettere in atto un’adeguata sorveglianza e riceveranno i dati da coloro che invece possiedono tali sistemi.

Gli strumenti per valutare i vaccini per il COVID-19 esistono già e verranno impiegati così come attualmente viene fatto: si tratta dei sistemi di sorveglianza nazionale, dei dati provenienti da fonti amministrative e la definizione dei casi come eventi avversi di speciale interesse.

Tuttavia, tenere insieme tutti questi strumenti e usarli in modo efficace è una sfida che richiede investimenti e collaborazione tra tutti gli attori in gioco. Il presente articolo fornisce una panoramica di alto livello di tutte le sfaccettature della moderna metodologia di valutazione della sicurezza dei vaccini e fornisce indicazioni sul modo con cui questi metodi sono o possono essere applicati ai vaccini nei confronti del COVID-19.

Lo sviluppo di un potenziale candidato vaccino deve essere in primo luogo valutato negli animali per quanto riguarda la sicurezza, l’immunogenicità e l’efficacia. Le problematiche di sicurezza identificate in precedenza nei primi vaccini per la SARS non sono state finora osservate negli studi sull’uomo ma sottolineano l’importanza di scegliere degli approcci vaccinali e degli adiuvanti che producano le risposte desiderate. Le tre fasi di sviluppo clinico nell’uomo sono attentamente condotte in modo tale che solamente con la dimostrazione di risultati favorevoli in una fase è possibile passare a quella successiva. Inoltre, le sperimentazioni cliniche sono sottoposte ad un comitato di esperti indipendente.

Dal punto di vista regolatorio esiste dal 1999 un Comitato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la sicurezza dei vaccini (World Health Organization Global Advisory Committee on Vaccine Safety) così come un gruppo di esperti (Strategic Advisory Group of Experts) che riceve i risultati portati dall’altro comitato e formula le raccomandazioni.

La Brighton Collaboration è una collaborazione internazionale lanciata nel 1999 che ha come compito quello di sviluppare le definizioni e le linee guida per i potenziali eventi avversi successivi ad immunizzazione. Tali strumenti includono anche la definizione degli eventi avversi di speciale interesse, che devono essere rapidamente comunicati alle parti regolatorie.

Un ruolo fondamentale di tutela dei consumatori è svolto dalle Agenzie Regolatorie, tra cui l’americana Food and Drug Administration e l’Agenzia Europea del Farmaco. Inoltre, un compito centrale è assegnato ai sistemi nazionali di sorveglianza passiva che riportano in ultima istanza al WHO Pharmacovigilance Centre in Uppsala, Svezia. Esistono poi dei programmi di sorveglianza attiva e studi di fase IV che sono in grado di monitorare in tempo quasi reale la popolazione di interesse oltre che mappare l’esposizione ai vaccini.

Esistono numerose sfide in tal senso, per esempio il fatto che ad oggi ancora troppo pochi paesi del mondo possiedono dei sistemi di farmacovigilanza altamente funzionanti. Infine è necessario un forte supporto e una stretta collaborazione tra tutti gli attori implicati nella sfida di monitorare attivamente i vaccini contro il COVID-19

Bibliografia.

Petousis-Harris, H. Assessing the Safety of COVID-19 Vaccines: A Primer. Drug Saf (2020).

E’ possibile leggere l’articolo completo qui.

Sospensione di farmaci per motivi di sicurezza: una revisione dei dati che supportano la decisione di sospensione.

Metodi.

Gli autori hanno analizzato i farmaci sospesi dal mercato tra il 1990 e il 2010. Tutte le Agenzie Regolatorie dei farmaci che fanno parte del programma per Monitoraggio Internazionale dei Farmaci (Program for International Drug Monitoring) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sono state contattate. Per avere una maggiore completezza dei dati, sono stati analizzati Medline, libri di riferimento e database dei farmaci. Le fonti di informazione sulle quali le autorità basano i motivi della sospensione sono state categorizzate ed è stato poi calcolato il tempo medio tra la data della prima esposizione dei soggetti al farmaco e il momento della sospensione.

Risultati.

Un totale di 133 farmaci che rispondevano ai criteri di inclusione e di esclusione sono stati sospesi dal mercato per ragioni di sicurezza nel periodo oggetto della presente revisione (1990 – 2010). Le ragioni principali responsabili della sospensione del 69,2 % di tutti i farmaci sono state le seguenti: epatotossicità (n=36, 27.1%), disordini cardiaci (n=25, 18.8%), ipersensibilità (n=17, 12.8%) e nefrotossicità (n=14, 9.8%).

Nella maggior parte dei casi, le fonti di informazione determinanti per la sospensione dei farmaci consistevano in segnalazioni spontanee e/o in case reports (n=86, 64.7%), seguite da segnalazioni provenienti da studi clinici (n=24, 18.0%). Il tempo medio tra l’introduzione di un farmaco nel mercato e la sua sospensione definitiva per motivi di sicurezza è stata di circa 20.3 anni (SD±13.8).

Discussione e conclusioni.

Sulla base delle evidenze disponibili e pubblicate, non esiste un metodo gold standard per identificare i rischi associati all’esposizione ai farmaci. I dati riportati dagli autori sottolineano il ruolo che le differenti fonti di informazione giocano nel contribuire al processo di revisione della sicurezza dei farmaci.

Un ruolo fondamentale è rivestito chiaramente dalla segnalazione spontanea e dai case report che contribuiscono alla comunicazione delle informazioni di sicurezza per quasi i 2/3 di tutte le fonti disponibili. Ciò attribuisce nuovamente un ruolo essenziale ai sistemi di farmacovigilanza nazionali nel reperimento di tali informazioni sulla sicurezza dei farmaci.

Le principali 10 ragioni di ritiro dei farmaci dal mercato:

Bibliografia.

Nuno Sales Craveiro*, Bruno Silva Lopes, Lara Tomás and Sofia Fraga Almeida, “Drug Withdrawal Due to Safety: A Review of the Data Supporting Withdrawal Decision”, Current Drug Safety (2020) 15: 4. E’ possibile leggere l’articolo completo qui

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